Il Tribunale di Bari, con la sua recente pronuncia n. 278/2025 del 30/06 u.s., affronta in un sol colpo diversi aspetti relativi all’interruzione del rapporto di lavoro pubblico di un’infermiera, accusata di aver commesso più atti di peculato e di autoriciclaggio.
Dall’impugnativa del licenziamento, ritenuto abnorme e comunque non allineato rispetto alle più miti sanzioni comminate dalla stessa Azienda sanitaria ad altri lavoratori, al riconoscimento del diritto al pagamento dell’indennità finanziaria, per le ferie maturate e non godute, ed al pagamento della retribuzione per le ore lavorate in più. Pur trovando conferma la gravità della condotta tenuta dalla dipendente durante il lavoro, tale da rendere legittima la massima sanzione espulsiva, ciò non ha comunque inficiato il diritto della stessa di ricevere, perlomeno, il riconoscimento economico per quei diritti che sono risultati, all’esito dell’istruttoria, comunque lesi nel corso del servizio reso all’azienda ospedaliera.
Contestazione del licenziamento di un’infermiera: la vicenda
La dipendente, a suo tempo in servizio con contratto a tempo indeterminato con la qualifica di infermiera professionale, ha contestato in sede giudiziale l’illegittimità della massima sanzione disciplinare irrogata nei suoi confronti, sostenendo che, per gli stessi fatti commessi da altri dipendenti, non si fosse mantenuta analoga condotta, avendo i responsabili potuto godere degli effetti di sanzioni alquanto miti, che gli avrebbero consentito di mantenere il posto di lavoro.
Posto quanto sopra, reclamata una disparità di trattamento, si invocava l’illegittimità del licenziamento comminato, con relativa reintegra in servizio ovvero, in subordine, quantomeno il pagamento dell’indennità sostitutiva per i giorni di ferie non goduti e per le ore in esubero lavorate.
I reati contestati: peculato ed autoriciclaggio
La documentazione prodotta durante l’istruttoria dava conferma al magistrato del lavoro dell’incontestabilità dei fatti a rilievo penalistico, posti poi a fondamento dell’intimato licenziamento, avendo la stessa infermiera ammesso le proprie responsabilità durante l’audizione avanti l’ufficio deputato alla gestione dei procedimenti disciplinari.
Sarebbe infatti emersa una condotta deplorevole per essersi (come si legge in motivazione), in diverse occasioni e talvolta con il concorso di altri soggetti, “appropriata di dispositivi medico – chirurgici e medicinali prelevandoli dai locali del reparto cui era assegnata e impiegando tali medicinali oltre a compiere attività per ostacolarne la provenienza delittuosa”.
A tal riguardo, veniva poi acquisita agli atti la sentenza, resa dal G.I.P. del Tribunale di Bari che, in accoglimento della richiesta di patteggiamento, applicava nei suoi confronti la sanzione della reclusione di 2 anni per i reati contestati.
Nessuna disparità di trattamento: il motivo
Passando ad esaminare la censura, sollevata dalla ricorrente infermiera riguardo alla disparità di trattamento ricevuto rispetto ad altri colleghi, ritenuti parimenti responsabili di episodi di appropriazione contestati, il Tribunale ha ricordato il principio, già accolto dalla giurisprudenza di legittimità, per cui non ci sarebbe alcun obbligo per il datore di lavoro di motivare il licenziamento comminato, comparandolo con altre sanzioni assegnate in casi simili (Cass. n. 5546/2010).
Nell’ambito del potere giurisdizionale affidato, il magistrato non ha neppure rinvenuto nella fattispecie in questione elementi tali per poter sostenere la tesi della presunta disparità di trattamento, emergendo per contro aspetti che rendevano la condotta della dipendente maggiormente grave rispetto a quella degli altri soggetti coinvolti.
Tutto ciò in considerazione del fatto che gli episodi a carico della ricorrente erano più numerosi rispetto agli altri e commessi nell’ambito di un lasso temporale più ampio, talvolta collaborando con altri.
Inoltre, il magistrato ha voluto espressamente rimarcare l’importanza della qualifica rivestita dalla ricorrente che, come si legge, rivestiva il ruolo di infermiera collaboratrice professionale sanitaria e non di semplice Oss, come negli altri casi, per cui avrebbe dovuto essere “certamente più attenta e diligente in quanto maggiore era la professionalità posseduta”.
Licenziamento legittimo
Scrutinato tutto il compendio probatorio reso disponibile dalle parti processuali, il giudice ha quindi concluso il suo ragionamento, ritenendo il provvedimento di licenziamento coerente con la gravità della condotta accertata, che si palesata come sistematica e protratta nel tempo, così da confermare l’intensità dell’elemento psicologico, con conseguente rottura del vincolo fiduciario che deve sempre necessariamente presiedere il corretto e leale andamento del rapporto di lavoro.
Ferie non godute e surplus orario
Diversa, invece, la soluzione proposta con riferimento alle questioni economiche prospettate dalla stessa dipendente che, avendo visto confermata la cessazione del rapporto di lavoro, ha giustamente ottenuto perlomeno il ristoro dell’indennità per i giorni di ferie non goduti durante il servizio, conclusosi a causa del licenziamento comminatole, che il pagamento del credito orario rimasto anch’esso privo di retribuzione.