Gli interessi sui tardivi pagamenti delle ASL alle farmacie: questione risolta?

Il contributo ritorna sulla differente soluzione adottata invece per i farmacisti, i cui rapporti di convezione con il SSN vengono considerati estranei al paradigma delle transazioni commerciali, con conseguente esclusione dell’attività di dispensa all’utenza dei farmaci di classe A fra quelle assoggettate alle previsioni comunitarie di contrasto ai ritardi nei pagamenti.

Sommario

  1. La disciplina normativa
  2. Il motivo di contrasto
  3. Le indicazioni della Cassazione
  4. Possibile contrasto con la normativa comunitaria?
  5. Diverso approccio giurisprudenziale per le strutture accreditate

La questione relativa all’applicazione degli interessi moratori al ritardo dei pagamenti delle ASL alle farmacie per l’attività di fornitura di medicinali all’utenza continua ad essere terreno di contesa, dovendosi talvolta registrare pronunce di Tribunali di merito che riconoscono, in questa tipologia di rapporti negoziali, la configurabilità della disciplina prevista per le transazioni commerciali.

C’è da dire che da tempo la magistratura, anche di legittimità, si esprime per l’inapplicabilità ai rimborsi per le forniture di medicinali del saggio di interessi previsto dal decreto legislativo n. 231/2002, come modificato dal D. Lgs. 192/12, considerando la prestazione assistenziale farmaceutica in regime di convenzione con le Asl estranea al paradigma della transazione commerciale, siccome definita a livello comunitario dalla direttiva 2000/35/CE, per ricondurla invece nell’ambito dei rapporti disciplinati dal D. Lgs. 30 dicembre 1992 n. 502.

La disciplina normativa

Il rapporto fra le ASL e le farmacie pubbliche e private viene regolato da convenzioni di durata triennale conformi agli accordi collettivi nazionali stipulati a norma dell'art. 4, comma 9, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, con le organizzazioni sindacali di categoria.

L’accordo collettivo a cui fare riferimento è sempre quello recepito con il D.P.R. 371/1998, tuttora in vigore, essendo in esso prevista la proroga degli effetti dell'accordo collettivo nazionale fino alla data di entrata in vigore del nuovo accordo, ad oggi non ancora intervenuto.

Questo accordo prevede una disciplina convenzionale specifica in forza della quale, in caso di ritardato pagamento, al farmacista non spettano interessi moratori superiori al tasso legale escludendo così, per le prestazioni farmaceutiche, l'applicabilità delle norme del d.lgs. 231/2002.

Il motivo di contrasto

Le ragioni del contrasto nascono dal tentativo di estendere alcune previsioni comunitarie che, volendo offrire maggiori garanzie per i creditori, hanno da ultimo previsto con la direttiva 2011/7/UE, integralmente recapita dal D. Lgs. n. 192/12, che qualora non sia rispettato il termine del pagamento, il committente deve corrispondere al fornitore, senza bisogno di costituzione in mora, un interesse determinato in misura pari al saggio d'interesse del principale strumento di rifinanziamento della Banca centrale europea applicato alla sua più recente operazione di rifinanziamento principale effettuata il primo giorno di calendario del semestre in questione, maggiorato di otto punti percentuali, salva la pattuizione tra le parti di interessi moratori in misura superiore e salva la prova del danno ulteriore.

Si tratta pertanto di un interesse maggiorato, al quale può essere altresì aggiunta un’ulteriore penale, pari al 5 per cento dell’importo, qualora il committente paghi quanto previsto oltre i successivi 30 giorni.

L’ambito di applicazione di questa regola è, però, limitato esclusivamente ai pagamenti eseguiti a titolo di corrispettivo nelle cd. “transazioni commerciali”, ovvero quei contratti che, per espressa previsione contenuta nell'art. 2, vengono stipulati fra imprese, oppure fra queste ed una pubblica amministrazione e che implicano, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi contro il pagamento di un prezzo.

Le indicazioni della Cassazione

Il punto cruciale diventa allora la verifica, necessariamente preliminare a qualsiasi ulteriore considerazione, se la prestazione assistenziale farmaceutica in regime di convenzione con le Asl possa essere o meno ricondotta al descritto paradigma delle transazioni commerciali.

Ebbene, su questo aspetto, la Corte di Cassazione ha da tempo espresso, anche a Sezioni Unite, la sua opinione, osservando come la disciplina di cui all'accordo collettivo nazionale trasfuso nel D.P.R. 371/1998 - secondo la quale, in caso di ritardato pagamento, al farmacista non spettano interessi moratori superiori al tasso legale - porta ad escludere queste prestazioni dall’alveo delle cd. transazioni commerciali descritte dall’art. 2 del decreto legislativo.

Questo in quanto l'attività di dispensazione dei farmaci e dei dispositivi medici ha natura di pubblico servizio e non privatistica, con conseguente applicazione al ritardo nei pagamenti del saggio di interesse legale previsto dall’art. 1284 c.c.

Possibile contrasto con la normativa comunitaria?

Da più parti e anche in qualche sede giudiziaria di merito, si è sollevata l’obiezione che la soluzione seguita dalla Corte di Cassazione sarebbe ancora contraria allo spirito delle direttive comunitarie che, volendo contrastare qualsiasi atteggiamento dilatorio del debitore nel pagamento del prezzo per l’attività svolta dall’impresa, considerano come transazione commerciale qualsiasi tipologia contrattuale, che preveda il pagamento di un corrispettivo a fronte di una prestazione, a prescindere dalla natura privatistica o pubblicistica dell’accordo o dei contraenti intervenuti.

C’è da dire, a onor del vero, che tale aspetto parrebbe già esaminato dalla stessa Corte di Cassazione che, con la sua pronuncia a SS.UU. n. 26486/2020, lo ha risolto sostanzialmente individuando una natura poliedrica dell’attività del farmacista, riconducibile in parte alla libera professione e nell’altra al pubblico servizio per cui, con riferimento alla dispensazione dei farmaci di classe A, sarebbe direttamente e specificamente inserito nel complesso servizio sanitario nazionale.

Essendo pertanto un’articolazione di questo servizio, il farmacista non sarebbe, in questa specifica attività, riconducibile al paradigma dell’imprenditore, con conseguente disapplicazione della normativa interna che, dando attuazione ai principi di fonte comunitaria, ha previsto la compensazione dei ritardi dei pagamenti con il riconoscimento degli interessi moratori.

Diverso approccio giurisprudenziale per le strutture accreditate

Per contro, diametralmente opposta risulta la soluzione proposta dalla stessa Cassazione che, con la sentenza SS.UU. n. 35092/2023, ha devoluto le prestazioni rese dalle strutture accreditate con il servizio sanitario nazionale nell’ambito delle transazioni commerciali, con conseguente riconoscimento degli interessi moratori.

In questo caso, il contrasto giurisprudenziale è stato infatti risolto affermando che: “Le prestazioni sanitarie erogate ai fruitori del Servizio sanitario nazionale dalle strutture private con esso accreditate, sulla base di un contratto scritto, accessivo alla concessione che ne regola il rapporto di accreditamento, concluso dalle stesse con la pubblica amministrazione dopo l'8 agosto 2002, rientrano nella nozione di transazione commerciale di cui al d.lgs. n. 231 del 2002, art. 2 avendo le caratteristiche di un contratto a favore di terzo, ad esecuzione continuata, per il quale alla erogazione della prestazione in favore del privato da parte della struttura accreditata corrisponde la previsione dell'erogazione di un corrispettivo da parte dell'amministrazione pubblica. Ne consegue che, in caso di ritardo nella erogazione del corrispettivo dovuto da parte della amministrazione obbligata, spettano alle strutture private accreditate gli interessi legali di mora ex d.lgs. n. 231 del 2002, art. 5.

La distinzione risiederebbe nel fatto che, mentre per le farmacie la fonte della disciplina che regola la prestazione dei farmaci di classe A è legale, quella relativa alle attività svolte dalle strutture accreditate affonda su atti di natura amministrativa e sui conseguenti accordi negoziali stipulati con la PA.

Una soluzione che potrebbe porre fine ad ogni possibile dubbio potrebbe quindi rintracciarsi nella rimessione della questione alla Corte di Giustizia Europea, cosicché possa apprezzare nello specifico del problema la tenuta del nostro sistema legale, da cui discende una disparità di trattamento, con i principi eurounitari dettati a tutela del credito.

Di: Francesco Del Rio, avvocato

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