Polizza RC Medica: per la Cassazione il medico deve dire "la verità" all'assicuratore

La Cassazione chiarisce che, nella stipula di una polizza di responsabilità professionale sanitaria, il medico non deve limitarsi a dichiarare le richieste risarcitorie già ricevute, ma è tenuto a comunicare ogni evento potenzialmente rilevante ai fini del rischio assicurato. Una decisione che rafforza l’obbligo di “uberrima bona fides” e può condurre alla perdita della copertura.

Sommario

  1. Un caso clinico che diventa caso assicurativo
  2. Il nodo giuridico: rischio assicurato e obbligo informativo
  3. La posizione della Cassazione: oltre la “claims made”
  4. Effetti pratici per i medici e sostenibilità del sistema assicurativo

Tutta la verità, soltanto la verità”. In questo breve sintagma può racchiudersi l’importante decisione che, soltanto pochi giorni fa, la Corte di Cassazione (ord. n. 29456/2025 del 7/11/2025) ha assunto riguardo ad una delle tematiche più discusse, e certamente fra le più pericolose, relativamente all’assicurazione per la responsabilità civile.

Questa pronuncia, definendo in modo stringente il perimetro degli oneri informativi a carico del professionista in fase precontrattuale, rischia di penalizzare, forse anche più di quanto si possa immaginare, la posizione di coloro che, per legge, sono tenuti a fornirsi di una copertura assicurativa per lo svolgimento della propria attività lavorativa.

La questione a cui occorre dare una risposta consiste nel chiarire se l’assicurando, in sede di stipula di una polizza di responsabilità professionale, abbia l’onere di riferire solo le eventuali richieste risarcitorie già ricevute, oppure debba comunicare all’assicuratore ogni circostanza, a sua conoscenza, da cui possa discendere una personale implicazione professionale, anche in assenza di una formale richiesta di risarcimento.

Come vedremo, la risposta della Cassazione impone sul sanitario un contegno particolarmente rigoroso, pena la perdita (a posteriori) della copertura assicurativa, con conseguenze economiche facilmente immaginabili.

Un caso clinico che diventa caso assicurativo

La questione affonda le sue origini nella pretesa risarcitoria promossa dagli eredi di una paziente nei confronti di una Casa di Cura e dell’equipe operatoria, che aveva eseguito l’intervento chirurgico, esitato successivamente con il decesso della stessa.

Riconosciuta la responsabilità di un medico, il Tribunale lo condannava al risarcimento dei danni a favore degli eredi, dichiarando il suo assicuratore tenuto a manlevarlo da ogni conseguenza economica.

L’istituto assicurativo proponeva appello avverso la decisione di prime cure, che veniva però respinto dalla Corte che riteneva non potersi inquadrare nel disposto di cui all’art. 1892 c.c. (“dichiarazioni inesatte e reticenti”) la circostanza per cui il medico, in sede di stipula della polizza avvenuta 3 giorni dopo il decesso della paziente, non avesse informato la Compagnia di tale accadimento.

Pertanto, non avendo ricevuto alcuna richiesta risarcitoria, né risultando altrimenti a conoscenza delle valutazioni espresse dal collegio peritale incaricato in sede penale, nessuna condotta inadempiente avrebbe quindi potuto ascriversi al sanitario, con conseguente conferma della manleva già riconosciuta.

Il nodo giuridico: rischio assicurato e obbligo informativo

Non pago del negativo riscontro ricevuto, l’assicuratore decideva di affidarsi al giudizio del Supremo Consesso evidenziando, nell’unico motivo di ricorso, come la decisione assunta in appello non avesse fatto buon governo dei principi stabiliti dagli artt. 1892 e 2697 cod. civ.

In sintesi, si argomentava che nelle polizze a garanzia della responsabilità civile derivante da casi di malpratice medica, la richiesta risarcitoria (cd. “on claims made”) rappresentasse soltanto uno degli elementi costitutivi del diritto dell’assicurato all’indennizzo, non incidendo sull’oggetto del contratto, che rimaneva pur sempre circoscritto alla responsabilità sanitaria.

Pertanto, l’obbligo informativo richiesto dall’art. 1892 c.c., che descrive in sé il dovere generale di buona fede e correttezza tra i contraenti, imponeva al contraente di riferire qualsiasi circostanza che potesse assumere una qualche rilevanza per la prestazione del consenso da parte dell’assicuratore, risultando pertanto violata tutte le volte in cui sia fornita una rappresentazione della realtà difforme, o comunque imprecisa, rispetto a quella effettivamente esistente.

In ambito sanitario, la circostanza che un evento lesivo possa essere scaturito dalla propria condotta, ovvero da una omissione addebitabile a titolo di colpa, viene così a costituire quell’elemento di conoscenza che, a prescindere dall’effettiva ricezione o meno di una richiesta risarcitoria, dovrebbe dunque indurre l’assicurando ad informarne l’assicuratore al momento di contrattare la possibile stipula di una polizza.

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La posizione della Cassazione: oltre la “claims made”

Nel motivare la sua decisione, la Corte ha rievocato il suo precedente arresto (Cass. n. 3010/25), ricordando come nel contratto di assicurazione si esige dall’assicurando la  “uberrima bona fides” (ossia, massima buona fede), atteso come solo lui, non essendo l’assicuratore a conoscenza del rischio che gli viene proposto di garantire, è il soggetto che detiene effettivamente l’informazione utile alla sua valutazione e, di conseguenza, al calcolo del relativo premio applicabile.

Tale obbligo viene imposto direttamente dall’art. 1892 c.c., per cui non risulta neppure derogabile essendo “preordinato a garantire l’equilibrio tra premio e rischio, a tutela dell’intera massa degli assicurati e non dell’assicuratore”.

Pertanto, il fatto che solo tre giorni prima della conclusione del contratto che, giusta applicazione del regime “on claims made” avrebbe dovuto coprire anche vicende pregresse alla sua stipulazione, si era verificato il decesso di una paziente (rispetto al quale è stata poi accertata la grave imperizia del sanitario), avrebbe dovuto imporgli una condotta informativa particolarmente accurata, circostanza che invero non parsa specificatamente apprezzata dalla Corte di Appello al momento della decisione.

Accolte le censure proposte dall’assicuratore, la sentenza è stata quindi cassata e rimandato il giudizio nuovamente alla Corte d’appello che, in diversa composizione, dovrà esprimersi tenendo in debito conto che “l’art. 1892 cod. civ. è espressione del consolidato principio per cui il contratto di assicurazione esige dall’assicurato la uberrima bona fides, in quanto solo l’assicurato è a conoscenza delle circostanze che consentiranno all’assicuratore di valutare l’intensità del rischio e fissare il relativo premio, di talché la clausola contrattuale che subordini l’operatività della garanzia in favore dell’assicurato, per fatti suscettibili di comportarne la responsabilità professionale, alla duplice (alternativa) condizione che il medesimo «non abbia ricevuto alla data di stipula richieste risarcitorie», ovvero che «non abbia avuto percezione, notizia o conoscenza, dell’esistenza dei presupposti di detta responsabilità», deve essere interpretata attribuendo a tale seconda condizione autonoma rilevanza rispetto alla prima, con conseguente obbligo di separata verifica anche di quella”.

Effetti pratici per i medici e sostenibilità del sistema assicurativo

Con questa pronuncia viene dunque affermato che sull’assicurando di una polizza di responsabilità medica grava, già in sede precontrattuale, l’obbligo di massima buona fede, essendo tenuto ad informare l’assicuratore anche della percezione dell’esistenza di un evento, da cui possa discendere una richiesta di risarcimento a proprio carico, sebbene non abbia materialmente ricevuto alcuna comunicazione formale al riguardo.

Qualora ciò non avvenga, ovvero venga dimostrata l’omissione del medico rispetto all’onere imposto dall’art. 1892 c.c. (peraltro, spesso, replicato all’interno delle clausole contrattuali e del relativo modulo informativo), l’esito potrà consistere nella perdita della copertura assicurativa, dovendosi così rispondere con il proprio patrimonio delle conseguenze dannose patite dai pazienti, o dai loro eredi.

A questo punto, appare sinceramente consigliabile a tutti i medici che si accingano alla stipula di una polizza, sottoposta al regime “on clims made”, a copertura della loro attività professionale, una disclosure completa e del tutto veritiera e trasparente, anche in assenza di richieste di risarcimento pervenute, riferendo all’assicuratore tutti agli accadimenti relativamente ai quali si abbia la percezione che possa scaturirne un personale giudizio di responsabilità.

Sarà poi da vedere se gli assicuratori assumeranno rischi del genere: questa l’implicazione operativa che si palesa all’orizzonte di questa pronuncia.

Di: Francesco Del Rio, avvocato

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