Shock settico dopo endoscopia: esclusa la responsabilità penale dei chirurghi

Assolto perchè il fatto non sussiste il chirurgo che ha eseguito una endoscopia e una ERCP per bonificare le vie biliari del paziente, successivamente deceduto per sepsi.

Sommario

  1. Cosa prevede la legge sulla responsabilità dei medici
  2. L’iter giudiziario: dall’imputazione all’assoluzione definitiva

Il signor A, dopo aver ricevuto la diagnosi di litasi coledoica, viene ricoverato presso il reparto di gastroenterologia dell’ospedale della sua città per essere sottoposto a una procedura di endoscopia (EUS) e colangio-pancreatografia-retrograda-endoscopica (ERCP) con bonifica della via biliare principale, eseguita il 9 gennaio dal primo operatore chirurgico, dottor B, e dal dottor C.

Subito dopo l’intervento, una volta trasferito nel reparto di degenza, inizia a lamentare dolori addominali, per i quali gli viene somministrato un analgesico antidolorifico; persistendo i dolori anche il giorno successivo, dopo l’esecuzione di ulteriori esami i medici riscontrano una lieve pancreatite.

Durante la notte il signor A accusa forti dolori addominali, trattati con tachipirina e con un antidolorifico più potente rispetto a quello della mattina, precisamente infusione endovenosa di ringer lattato.

Il giorno seguente, 10 gennaio, dagli esami ematici emergono valori superiori ai parametri di riferimento; nel pomeriggio il paziente peggiora, e alle 19:30 viene sottoposto a ulteriori esami, dai quali emerge, per la prima volta, il sospetto clinico di sepsi, peraltro particolarmente aggressiva, tanto da condurre al decesso dopo poche ore, a breve tempo dall’insorgenza dei sintomi.

I familiari del signor A sporgono denuncia querela nei confronti dei medici che hanno avuto in cura il paziente, ritenendo che il decesso sia legato a malasanità.

Cosa prevede la legge sulla responsabilità dei medici

La responsabilità penale del medico è disciplinata dal combinato dagli articoli 589, 590 e 590 sexies del codice penale: se, nell'esercizio della professione sanitaria, il medico cagiona la morte o delle lesioni al paziente, rischia una pena che va da un minimo di tre anni (pena minima per le lesioni) a cinque anni di reclusione (pena massima prevista per l'omicidio colposo, salvo particolari circostanze in cui la pena può aumentare fino a dieci anni).

L'art. 590 sexies del codice penale, introdotto dalla legge Gelli Bianco, prevede una particolare causa di giustificazione per il professionista sanitario: difatti, qualora la morte o le lesioni del paziente si siano verificati a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto.

Nel caso di specie, vengono in rilievo le linee guida riferite alla fase operatoria e a quella post operatoria.

Per quanto concerne la fase operatoria, le linee guida prevedono che il posizionamento di uno stent biliare in caso di litasi coleodica – così come avvenuto nel caso di specie – costituisce una scelta prudenziale operata dal sanitario, che va a scongiurare il rischio di ostruzioni nel flusso biliare e prevenire eventuali infezioni.

Con riguardo, invece, la fase post operatoria, secondo le linee guida, in corso di pancreatite grave non è consigliato l’uso di antibiotico somministrato empiricamente, poiché non efficace a modificare il decorso e comunque ad alto rischio di creare, nel paziente, fenomeni di antibiotico-resistenza.

Inoltre, secondo le linee guida la somministrazione di antibiotico in un soggetto con pancreatite già diagnosticata può dar luogo a un pericoloso sovraccarico degli organi, con il rischio di debilitare un paziente da poco operato, come il signor A.

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L’iter giudiziario: dall’imputazione all’assoluzione definitiva

Dall’autopsia eseguita sul signor A emerge che lo stesso è deceduto per shock settico insorto a seguito di manovra ERCP con sfinterotomia ed estrazione di calcolo complicata da pancreatite acuta.

Dalla consulenza tecnica depositata, in fase di indagine, da parte dei consulenti della procura emergeva l’assenza di responsabilità in capo ai sanitari che avevano avuto in cura il paziente, i quali si erano attenuti al rispetto delle linee guida, sia in fase operatoria che post operatoria.

Per questo motivo, la Procura della Repubblica aveva chiesto di archiviare il procedimento penale a carico del dottor B e del dottor C; le parti civili (cioè i familiari del signor A), tuttavia, si oppongono a questa archiviazione, e all’esito del giudizio di opposizione il GUP ha ordinato alla Procura di formulare, nei confronti del dottor B e del dottor C, la cosiddetta imputazione coatta. In pratica, la Procura è stata costretta a formulare nei confronti dei medici un capo di imputazione, mandandoli a giudizio per la morte del signor A. per i seguenti motivi:

-             Il dottor B, in qualità di chirurgo gastroenterologo, per aver cagionato la morte del paziente avvenuta a seguito dell’intervento di rimozione di calcolo (EUS e ERCP) a causa di shock settico insorto a seguito di manovra ERCP complicata da pancreatite acuta, per non avere correttamente rilevato, al termine dell’intervento chirurgico, la mancata rimozione del calcolo presente nella via biliare principale del paziente, determinando così un’ostruzione delle vie biliari nonostante il posizionamento di uno stent, con conseguente infezione delle medesime,

-             Entrambi i medici, dottor B e dottor C, per non avere adeguatamente monitorato e valutato le condizioni cliniche del paziente in fase post operatoria, omettendo di rilevare tempestivamente i sintomi di una sepsi in corso manifestatasi già nelle prime 24 ore successive all’intervento, omettendo gli approfondimenti diagnostici necessari e omettendo di somministrare adeguata terapia antibiotica, determinando così l’aggravamento della sepsi e il decesso del paziente.

Quanto alla permanenza del frammento di calcolo, in corso di giudizio la consulenza ha evidenziato come la letteratura di riferimento confermi il fatto che esso sfugge alla diagnosi e comunque non vi è stata influenza del calcolo, in maniera determinante, sul decesso del paziente.

Una volta rinviati a giudizio, i medici hanno scelto il cosiddetto rito abbreviato: si tratta di un rito speciale, che a fronte di uno sconto di pena in caso di condanna consente di svolgere il giudizio senza ulteriori approfondimenti, allo stato degli atti raccolti in fase di indagine.

Entrambi i chirurgi sono stati assolti dalle accuse loro mosse, sia in primo che in secondo grado, andando esenti da responsabilità poiché le loro condotte erano stati conformi alle linee guida in materia.

Nella sentenza di assoluzione, in particolare, è stato analizzato anche il problema relativo al momento in cui i medici si sarebbero potuti accorgere dell’insorgenza della sepsi in capo al paziente, evidenziando che nel caso in esame, alla luce delle condizioni generali del paziente già prima di sottoporsi all’intervento, un approccio diagnostico-terapeutico maggiormente tempestivo, successivo ai primi esami ematochimici del giorno dell’intervento (in cui era emersa una situazione di leucopenia, riconducibile però a molteplici aspetti) non avrebbe evitato il decesso del paziente.

In ogni caso, le sentenze assolutorie affermano che non essendovi ulteriori accertamenti tecnici da compiere, alla luce delle prove in atti non era possibile affermare, al di là di ogni ragionevole dubbio, nemmeno che i medici fossero stati intempestivi nella diagnosi e cura della sepsi, pur essendo questa un effetto collaterale comune dell’intervento di ERCP.

Dall’assoluzione in primo e secondo grado dei chirurghi è scaturito il rigetto del ricorso per cassazione in virtù del principio della cosiddetta doppia conforme, per cui quando vi sono due sentenze conformi (di condanna o assoluzione) nei primi due gradi di giudizio, è possibile ricorrere in Cassazione solo per determinati motivi tecnico-giuridici, e precisamente:

  1. Esercizio da parte del giudice di una potestà riservata dalla legge a organi legislativi/amministrativi o non consentita ai pubblici poteri,
  2. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche,
  3. Inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza.

Non ricorrendo, nel caso di specie, alcuna di tali violazioni, il ricorso è stato dichiarato inammissibile.

Di: Manuela Calautti, avvocato

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