Test Medicina e imbuto formativo: quale futuro per gli specializzandi?

Il nuovo test di Medicina potrebbe aggravare l’imbuto formativo? Cosa cambia per gli specializzandi e quali sono le criticità del sistema attuale.

Sommario

  1. Che cos’è l’imbuto formativo?
  2. Cosa cambia con l’ingresso libero e il semestre di sbarramento?
  3. Rischio: più laureati, stessi posti per specializzarsi
  4. Gli effetti per gli specializzandi
  5. Come evitare il collo di bottiglia

Negli ultimi mesi, l’accesso alla facoltà di Medicina è stato completamente rivoluzionato. Dopo anni di polemiche sul numero chiuso, il TOLC-MED è stato abolito e sostituito da un ingresso libero, con un sistema di selezione spostato dopo il primo semestre universitario.

In teoria, più libertà per gli studenti. In pratica, però, aumenta il rischio di un imbuto formativo ancora più stretto, che potrebbe lasciare migliaia di futuri medici bloccati tra la laurea e la specializzazione.

Che cos’è l’imbuto formativo?

Con “imbuto formativo” si intende il disallineamento tra chi si laurea in Medicina e i posti realmente disponibili per completare la formazione post-laurea: scuole di specializzazione o corsi di medicina generale.

Il problema è noto da anni: ogni anno si laureano in Medicina circa 20.000 studenti, ma i posti disponibili per specializzarsi restano intorno a 14.500.

Risultato? Circa 1 medico su 3 rimane senza la possibilità di completare il percorso che consente di lavorare pienamente nel Servizio Sanitario Nazionale.

Cosa cambia con l’ingresso libero e il semestre di sbarramento?

Con l’eliminazione del test, dal 2025 gli studenti possono iscriversi liberamente al primo semestre del corso di laurea in Medicina. Durante questo semestre “di sbarramento” dovranno sostenere esami e accumulare tutti i crediti previsti. Solo chi rientrerà nella graduatoria nazionale di merito potrà continuare dal secondo semestre.

Chi non supera lo sbarramento potrà comunque proseguire gli studi in un corso affine (biomedico, farmaceutico, sanitario o veterinario), grazie a una doppia iscrizione gratuita prevista già all’inizio.

Il sistema punta a superare le rigidità del vecchio numero chiuso, ma di fatto la programmazione resta invariata: la selezione non sparisce, viene solo posticipata.

Rischio: più laureati, stessi posti per specializzarsi

Il nodo principale resta irrisolto: se il numero di studenti che supera lo sbarramento cresce, ma i posti per specializzarsi restano gli stessi, l’imbuto si stringe ancora di più.

In altre parole, rischiamo di avere più laureati, ma senza reali prospettive di completare la formazione. E intanto, paradossalmente, molte strutture sanitarie denunciano carenze croniche di medici in settori chiave come pronto soccorso, anestesia, medicina d’urgenza.

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Gli effetti per gli specializzandi

Anche chi entra in specializzazione non è esente da problemi:

  • carichi di lavoro pesanti,
  • compensi bassi rispetto alle responsabilità,
  • tempi lunghi per ottenere la qualifica finale.

Con più medici in attesa di un posto e senza un aumento adeguato delle borse di specializzazione, cresce il rischio di fuga all’estero o di professionisti lasciati in un limbo professionale, nonostante anni di studi.

Come evitare il collo di bottiglia

Per superare davvero l’imbuto formativo servono scelte strutturali:

  • Aumentare i posti nelle scuole di specializzazione e nei corsi di medicina generale;
  • Pianificare con realismo il fabbisogno di medici nei prossimi anni;
  • Riconoscere condizioni di lavoro dignitose a chi si forma;
  • Offrire percorsi di inserimento rapido nel SSN.

Senza questi interventi, il nuovo sistema rischia di illudere migliaia di giovani, senza garantire un vero futuro professionale.

L’Italia ha bisogno di nuovi medici, ma ha ancora più bisogno di un sistema che non si fermi a metà, capace di accompagnare i giovani professionisti fino all’ingresso nel mondo del lavoro.

Il semestre di sbarramento è solo un nuovo passaggio in un percorso che, senza una riforma seria della specializzazione, rischia di creare un imbuto ancora più stretto — e di allungare la fila di chi, pur laureato, non potrà curare.

Di: Cristina Saja, giornalista e avvocato

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