Il sig. A ha mal di denti e si reca dal suo dentista di fiducia, il dottor B, il quale all’esito della visita gli prescrive un’ortopanoramica, dalla quale si evidenziano stretti rapporti di contiguità tra l’apparato radicolare del dente e le strutture del canale mandibolare.
Ciononostante, sulla base della lettura dell’ortopanoramica, senza eseguire ulteriori approfondimenti radiodiagnostici, il dottor B procede all’estrazione di un dente semi occluso, con la demolizione del tessuto osseo coricale linguale e vestibolare, nella regione dell’elemento 38, demolendo una parte del tetto osseo del canale.
A seguito di tale intervento il paziente riporta una lesione irreversibile del nervo linguare.
Il signor A, che era andato dal suo dentista di fiducia solo per un banale mal di denti e si ritrova con il nervo della lingua compromesso per sempre, decide di sporgere denuncia all’autorità giudiziaria nei confronti del dottor B, il quale viene sottoposto ad indagine.
Dentista e responsabilità penale: la normativa violata
La responsabilità penale del medico è disciplinata dal combinato disposto degli articoli 589, 590 e 590 sexies del codice penale: se, nell'esercizio della professione sanitaria, il professionista cagiona la morte o delle lesioni al paziente, rischia una pena che va da un minimo di tre anni (pena minima per le lesioni) a cinque anni di reclusione (pena massima prevista per l'omicidio colposo, salvo particolari circostanze in cui la pena può aumentare fino a dieci anni).
L'art. 590 sexies del codice penale, introdotto dalla legge Gelli Bianco, prevede una particolare causa di giustificazione per il professionista sanitario: difatti, qualora la morte o le lesioni del paziente si siano verificati a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto.
Nel caso di specie, nel corso del dibattimento è emerso che nessuna imperizia del dottor B è dato ravvisare nella fase preoperatoria, mentre non può dirsi lo stesso per la fase esecutiva, in quanto, nel procedere all'estrazione dell'ottavo elemento, il dentista ha interrotto la corticale e ha invaso il canale del nervo alveolare, con conseguente compressione di detto nervo e sintomatologia parestesica, come emerge dalla Tac eseguita dopo l'intervento, da cui risulta un importante deficit di tessuto osseo alveolare pur a distanza di quattro mesi dall'intervento.
Si tratta di un errore tecnico nell'esecuzione dell'intervento chirurgico ascrivibile a imperizia "grave", trattandosi di una situazione anatomica, nota all'operatore prima di eseguire l'intervento e che non ha affatto natura eccezionale, posto che, invece, si presenta con una discreta frequenza, e che la corretta estrazione era certamente alla portata del medico con l'esperienza e la preparazione riconosciute in capo al ricorrente.
A sua discolpa il dottor B ha sostenuto in giudizio che l’intervento eseguito sul signor A non fosse, né allora né al momento del processo, oggetto di linee guida e che non fosse comunque necessario, in quel determinato caso, effettuare una TAC di livello superiore.
Leggi anche
Sentenza finale: colpa grave del dentista e risarcimento al paziente
L’operazione era priva di caratteristiche di eccezionalità ed era pienamente alla portata dell'imputato, il quale, commettendo, nella fase esecutiva dell'intervento, una condotta connotata da colpa grave - ossia l'interruzione della corticale e l'invasione del canale del nervo alveolare, con conseguente compressione di detto nervo - si è reso responsabile del reato a lui ascritto.
Tuttavia, dopo tre gradi di giudizio e un rinvio ad altra sezione della Corte d’appello da parte della Cassazione, affinché emettesse nuovamente una valutazione sul caso, il dottor B è stato assolto in quanto era maturato il termine di prescrizione del reato, commesso ben otto anni prima.
La sua fedina penale, perciò, rimarrà immacolata, ma lo stesso non potrà dirsi per il suo “portafoglio”: difatti, la sentenza con cui è stata dichiarata la prescrizione del reato ha comunque ritenuto il fatto commesso con colpa grave, ritenendo legittimo il risarcimento del danno in favore della parte civile signora A, quantificato in 15 mila euro, oltre che al pagamento delle spese processuali e di un’ammenda liquidata dalla Corte di Cassazione.