I vani tentativi di difesa,messi in campo dalle Aziende sanitarie per contrastare le legittime richieste di pagamento dell’indennizzo previsto perle ferie non godute, una volta giunti al vaglio degli organi giudiziari, trovano spesso la strada sbarrata, venendo considerati inidonei ad impedire che il dipendente possa ottenere la monetizzazione invocata.
L’irrilevanza delle dimissioni volontarie nei casi di ferie non godute
Ancora oggi serpeggia il convincimento, del tutto erroneo, che le dimissioni volontariamente presentate dal lavoratore impediscano il riconoscimento del suo diritto ad ottenere la liquidazione dei giorni di ferie arretrati e non potuti godere durante il tempo di lavoro.
Questa ipotesi si vorrebbe ancorata (sempre secondo le tesi sostenute dalla parte datoriale) al fatto che, avendo anticipatamente deciso di risolvere il rapporto di lavoro, il dipendente avrebbe potuto preventivamente fruire del periodo di riposo maturato per cui, avendo deciso di non farlo, avrebbe consapevolmente rinunciato al suo diritto e, quindi, anche alla correlata possibilità di vederlo monetizzato.
Proprio su questo aspetto la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con la sentenza resa nel caso Maschek (C-341/15), è intervenuta sottolineando che l’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 2003/88 non assoggetta il diritto a un’indennità finanziaria ad alcuna condizione diversa da quella relativa, da un lato alla cessazione del rapporto di lavoro e, dall’altro al mancato godimento da parte del lavoratore di tutte le ferie annuali a cui aveva diritto alla data in cui tale rapporto è cessato.
Pertanto – così si esprime nella parte motivazionale - “conformemente all’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 2003/88, un lavoratore, che non sia stato posto in grado di usufruire di tutte le ferie retribuite prima della cessazione del suo rapporto di lavoro, ha diritto a un’indennità finanziaria per ferie annuali retribuite non godute. A tal fine è privo di rilevanza il motivo per cui il rapporto di lavoro è cessato” (par. 28), per cui “la circostanza che un lavoratore ponga fine, di sua iniziativa, al proprio rapporto di lavoro, non ha nessuna incidenza sul suo diritto a percepire, se del caso, un’indennità finanziaria per le ferie annuali retribuite di cui non ha potuto usufruire prima della cessazione del rapporto di lavoro.”.
Sempre la stessa Corte ha precisato che, ai fini della corresponsione dell'indennità finanziaria per le ferie annuali maturate e non godute al momento della cessazione del rapporto di lavoro, deve ritenersi del tutto irrilevante, oltre al motivo che ha portato alla risoluzione del rapporto, l’esistenza o meno della previa domanda di fruizione delle ferie inviata dal lavoratore all’Azienda.
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L’invito a fruire delle ferie non godute prima della cessazione del rapporto
Altro aspetto di rilievo, che viene spesso malamente interpretato dai protagonisti principali di queste vicende (dipendente, da un lato, ed amministrazione sanitaria, dall’altro), concerne le modalità, i contenuti e le tempistiche con cui l’azienda deve invitare il dipendente a fruire delle ferie non godute, soprattutto quando si avvicina il momento di cessazione del rapporto di lavoro.
Esempio tipico di questa situazione si rinviene nel momento in cui, presentate le dimissioni con l’indicazione del termine di cessazione del rapporto di lavoro nel rispetto del termine di preavviso contrattualmente previsto, l’Azienda risponde inoltrando al dirigente sanitario una comunicazione formale in cui lo invita a posticipare la data di dimissione usufruendo, nel contempo, di tutte le ferie non godute negli anni precedenti, così da azzerare l’arretrato.
Ebbene, la giurisprudenza ha recentemente affermato che, per il riconoscimento della monetizzazione delle ferie non godute, oltre a non assumere rilievo giuridico il motivo dell’intervenuta cessazione del rapporto, non produce effetto neppure la tardiva comunicazione dell’azienda di fruizione dei giorni di ferie residuati (Corte di Appello Torino, Sez. Lav., n. 85/2024).
Nel caso di specie, l’azienda sosteneva di aver inoltrato poco prima della cessazione del rapporto di lavoro l’invito al dipendente di godere di tutti i giorni di ferie residuati, motivo per cui nulla avrebbe dovuto corrispondere a titolo di indennizzo, avendo a suo dire correttamente adempiuto all’onere posto a suo carico.
La risposta della Corte è stata però piuttosto decisa, nel ritenere questa argomentazione del tutto infondata e non coerente con i principi dettati dalla magistratura europea, ha correttamente osservato che, così ragionando, verrebbe “in pratica consentito al datore di lavoro di sottrarsi ai propri obblighi autorizzando, nell’ultimo giorno utile che residua al lavoratore in procinto di cessare il rapporto di lavoro, la fruizione delle ferie accumulate sia nell’ultimo anno di impiego che in quelli precedenti”.
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Il rigoroso onere di vigilanza dell’Azienda
Ciò che rileva è, infatti, unicamente la prova, tutta a carico delle Aziende sanitarie, di avere esercitato nel corso dell’intero arco del rapporto di lavoro tutta la diligenza necessaria affinché il lavoratore, nel periodo precedente alle sue dimissioni e nel corso del quale si è verificato l'accumulo dei giorni di ferie, sia stato posto effettivamente nella possibilità di fruire, invitandolo, se necessario formalmente, a farlo e informandolo, precisamente e in tempo utile, del fatto che, in caso di mancata fruizione, le ferie sarebbero state perse.
L’azienda – e solo questa – è quindi tenuta a dimostrare di avere compiutamente esercitato i propri poteri di vigilanza, occupandosi di sollecitare formalmente e tempestivamente i suoi dipendenti a fruire delle ferie accumulate durante lo svolgimento del rapporto di lavoro ed organizzando l’intero sistema lavorativo in modo tale da consentire a tutti l'effettiva fruizione delle ferie retribuite.
Pertanto, la produzione di una comunicazione con cui, soltanto in prossimità della cessazione del rapporto lavorativo (per dimissioni, pensionamento od altro), il sanitario venisse invitato a fruire di tutte le ferie accumulate nel corso degli anni non potrà considerarsi prova idonea a dimostrare l’esercizio, da parte della stessa amministrazione, della diligenza richiesta al datore di lavoro affinché il dipendente potesse fruire del previsto periodo di riposo retribuito, dovendosi invece dimostrare di aver adempiuto ai propri obblighi datoriali nel corso degli anni che hanno visto accumularsi le ferie non godute.