La vittima di un incidente stradale ha diritto ad essere risarcita per il danno subito a causa del sinistro: normalmente il risarcimento è coperto dall’assicurazione del veicolo che ha causato il sinistro, salvo casi particolari ed estremamente gravi, in cui la copertura assicurativa non opera, come ad esempio può accadere se l’assicurazione è scaduta al momento del sinistro.
Se un professionista sanitario è vittima di un sinistro, è importante che conosca, a grandi linee, i suoi diritti, fermo restando che la regola generale è quella di rivolgersi a un legale esperto oppure a un’agenzia assicurativa: Consulcesi, in questo caso, può essere la soluzione giusta, grazie ai suoi professionisti specializzati, in grado di assistere gli iscritti coinvolti in un sinistro stradale sin dalle prime fasi della richiesta di risarcimento del danno.
Il danno, in generale, si compone di due voci:
- La perdita subita dalla vittima, come ad esempio il corrispettivo in denaro equivalente a un tot di giorni di malattia,
- Il mancato guadagno, come ad esempio i mancati incassi di un negoziante vittima di un sinistro stradale che, durante il periodo di infortunio, non ha potuto aprire il negozio ed è stato, di fatto, nell’impossibilità di lavorare.
Il danno patrimoniale (cioè economico) derivante dalla perdita della capacità di guadagno del danneggiato a causa di lesioni personali, subito da una persona che lavorava al momento del verificarsi dell’episodio, deve avvenire in maniera molto specifica:
- Accertando l’entità dei postumi permanenti,
- Accertando la compatibilità tra i postumi e l'impegno fisico o psichico richiesto dalle mansioni svolte dalla vittima;
- Valutando se l'eventuale incompatibilità tra i postumi riportati e le mansioni svolte prima di aver subito il danno comporti, in atto od in potenza, una presumibile riduzione patrimoniale.
Questi accertamenti non devono essere svolti in astratto, bensì in concreto, chiedendo specificamente al medico legale (sia in sede stragiudiziale che giudiziale) di quantificare in punti percentuali la c.d. "incapacità lavorativa specifica" e moltiplicando il reddito perduto dal lavoratore infortunato per la suddetta percentuale.
Va specificato che il danno da cosiddetto lucro cessante (cioè il mancato guadagno derivato al danneggiato dopo il sinistro o l’infortunio) non è implicito né automatico, ma va provato dal danneggiato, anche semplicemente con delle presunzioni: la prova, in un giudizio, è fondamentale poiché dall’attribuzione, ad esempio, di una percentuale permanente invalidante non scaturisce, in automatico, l’esistenza del danno da lucro cessante.
Un principio molto importante in materia di danno è sancito dall’articolo 1227 del codice civile; in base a questa norma, se il danneggiato concorre, in maniera colposa, a provocare il danno che ha subito, il suo risarcimento viene diminuito in base a due parametri:
- Il grado della sua colpa (grave, lieve),
- L’entità delle conseguenze che derivano dalla sua colpa.
Secondo questa norma il risarcimento viene meno se il danneggiato avrebbe potuto evitare i danni subiti usando l’ordinaria diligenza.
Quando l’infortunio porta al licenziamento: la vicenda finita in Cassazione
Con la sentenza n. 16604/2025 la Corte di Cassazione ha affrontato un caso abbastanza comune: una lavoratrice, in seguito a un incidente stradale, ha dovuto affrontare un lungo periodo di convalescenza, che l’ha costretta ad assentarsi per lungo tempo dal lavoro.
Trattandosi di lavoratrice dipendente, la stessa aveva diritto a un numero limitato di giorni di malattia (nel caso di specie circa 12 mesi); purtroppo, prima dell’incidente, la donna ne aveva consumati quasi la metà.
La convalescenza, quindi si rivelò più lunga dei giorni di assenza dal lavoro per malattia a sua disposizione, e la lavoratrice fu quindi licenziata, avendo superato il cosiddetto periodo di comporto, cioè il periodo massimo durante il quale un dipendente ha il diritto di conservare il suo posto di lavoro nonostante la sua assenza per infortunio o malattia, al termine del quale può essere legittimamente licenziato.
La lavoratrice, nell’instaurare un giudizio nei confronti del soggetto che l’aveva investita e del suo assicuratore al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti, chiese, tra le varie voci di danno, quella relativa al lucro cessante, rappresentato nel caso di specie dalle seguenti voci:
- perdita del lavoro svolto in precedenza, quale donna delle pulizie alle dipendenze di una ditta specializzata, in quanto non poteva più svolgere a causa delle fratture riportate e dei postumi invalidanti),
- ridotta possibilità di trovare, in futuro, un lavoro.
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La decisione dei giudici: perché il risarcimento è stato ridotto (e cosa ha detto la Cassazione)
La richiesta di risarcimento del danno formulata dalla signora, ex donna delle pulizie impossibilitata a svolgere il medesimo lavoro, è stata rigettata dal giudice di primo grado e successivamente parzialmente accolta dalla Corte d’appello.
I giudici d’appello, in particolare, hanno accolto solo in parte la richiesta di risarcimento, ritenendo che la donna sia stata licenziata a causa dell’infortunio, ma riducendo l’importo del risarcimento, liquidato in una somma pari agli stipendi persi tra il momento del licenziamento e quello in cui la vittima avrebbe presumibilmente trovato un nuovo lavoro, se si fosse diligentemente attivata per cercarlo, stimato dalla Corte in sei mesi.
In pratica, il risarcimento ha avuto un importo inferiore perché la donna, dichiarata invalida al 25%, pur non potendo svolgere l’attività di donna delle pulizie avrebbe potuto esercitare altri tipi di attività e avrebbe, in tal senso, dovuto attivarsi per cercare un lavoro, ma non lo ha fatto.
La donna, non soddisfatta della decisione, si è rivolta alla Corte di Cassazione, che ha ritenuto in parte illogico il ragionamento dei giudici d’appello, poiché non si può pretendere dal danneggiato di provare di essersi attivato per cercare un nuovo lavoro se prima non è stato stabilito, in concreto, l’esistenza e l’ammontare del danno.
La Corte d’appello, nel caso di specie, non aveva stabilito se i postumi del sinistro subito dalla lavoratrice impedissero la prosecuzione dell’attività di addetta alle pulizie ed in che misura, nonché se fossero ostativi allo svolgimento di analoghi lavori.
La Cassazione, nel chiedere ai giudici d’appello di rivalutare il caso, ha stabilito dei principi di diritto che valgono per tutti i lavoratori, anche quelli del settore sanitario.
Secondo la Cassazione ogni persona, anche se disabile, ha il dovere di attivarsi per trovare un’occupazione, e ciò in virtù dell’art. 4 della Costituzione, che riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e impone loro di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.
Per questo motivo, quando viene liquidato il danno patrimoniale da perdita del reddito da lavoro, a sua volta provocata da lesioni personali, bisogna tenere conto della possibilità, per il soggetto danneggiato, di reimpiegare le residue forze in un altro lavoro, comunque confacente alle sue attitudini.
Chi, a seguito di un infortunio, perda il lavoro e non si attivi per cercarne un altro confacente e compatibile con le sue condizioni di salute, non fa altro che aggravare, a sua volta, il danno.
Di tale condotta “aggravante” il giudice deve tenere conto nelle operazioni di accertamento e stima del danno patrimoniale derivante da infortunio.
Il giudice potrà rigettare la domanda solo dopo aver accertato e valutato, in concreto, se l’infortunato si sia impegnato per cercare attivamente un lavoro, non essendo ammesso un rigetto automatico della domanda di risarcimento, sol perché la vittima non abbia fornito prova di aver cercato lavoro.