L’inquinamento rende i fulmini più potenti?
Uno studio USA mostra come l’inquinamento atmosferico possa intensificare i fulmini e rendere più violenti i temporali. Ecco cosa sappiamo.
17 Settembre 2025, 08:39

Sommario
Negli ultimi anni, diversi studi scientifici hanno messo in luce come l’inquinamento atmosferico non sia soltanto un problema per la salute umana e per la qualità dell’aria, ma possa influenzare anche i fenomeni meteorologici estremi. Una ricerca pubblicata sulla rivista Atmospheric Research ha dimostrato che la presenza di elevate concentrazioni di smog favorisce la formazione di temporali più intensi e aumenta la frequenza dei fulmini che raggiungono il suolo. Si tratta di un legame preoccupante, confermato da osservazioni sul campo: anche in Italia, la scorsa estate, si sono verificati numerosi episodi in cui le scariche elettriche atmosferiche hanno causato gravi incidenti, soprattutto lungo le coste adriatiche, da Teramo a Bari.
Gli studiosi sottolineano come non si debbano mai sottovalutare i segnali provenienti dal cielo, perché l’intensificazione dei temporali non è un fenomeno casuale ma una conseguenza diretta del peggioramento della qualità dell’aria e dei cambiamenti climatici in atto. Questa nuova consapevolezza apre scenari inquietanti: la lotta all’inquinamento non riguarda solo la protezione dei polmoni o la riduzione della CO₂, ma anche la prevenzione di eventi meteorologici potenzialmente mortali.
L’impatto dei fulmini in Italia: dati e rischi concreti
Il nostro Paese non è immune da questi fenomeni. In Italia, infatti, cadono ogni anno circa un milione di fulmini, con un bilancio che conta mediamente 20 vittime, secondo i dati del CNR. La maggior parte degli incidenti avviene in spazi aperti – campi, spiagge, aree montane – ma non mancano casi in cui i fulmini hanno colpito strutture abitate o veicoli, dimostrando che il rischio non può essere considerato trascurabile nemmeno al chiuso. La prevenzione rimane fondamentale: conoscere i comportamenti corretti da adottare durante un temporale può fare la differenza tra la vita e la morte.
Tuttavia, le statistiche mostrano che i fenomeni atmosferici stanno diventando sempre più estremi e frequenti, spinti sia dall’aumento delle temperature sia dall’accumulo di sostanze inquinanti nell’aria. Le ondate di calore estive, ad esempio, creano le condizioni ideali per lo sviluppo di nubi temporalesche molto attive, che rilasciano un numero più elevato di scariche elettriche. Non sorprende quindi che, negli ultimi anni, l’Italia abbia assistito a un incremento dei danni provocati dai fulmini, non solo in termini di vittime ma anche di incendi, blackout e guasti alle infrastrutture.
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Inquinamento, cambiamenti climatici e ricerca internazionale
Il meccanismo che collega smog e temporali è ormai chiaro: le particelle inquinanti agiscono come nuclei di condensazione all’interno delle nubi temporalesche. Sollevate dalle correnti ascensionali, si distribuiscono e si separano sotto l’azione dei movimenti d’aria, favorendo l’accumulo di cariche elettriche e dunque la produzione di fulmini. Lo conferma il professor Mace Bentley della James Madison University, autore di una ricerca che ha analizzato mezzo milione di temporali negli Stati Uniti, in particolare nelle aree di Washington D.C. e Kansas City. I risultati mostrano che, dove l’inquinamento atmosferico è più elevato, la probabilità di fulmini aumenta sensibilmente.
Lo stesso schema si sta ripetendo in altre zone del mondo, come dimostrano i nuovi studi avviati a Bangkok, una delle città più inquinate del pianeta, dove le scariche elettriche sembrano ancora più numerose. A complicare il quadro si aggiunge il cambiamento climatico, che contribuisce a rendere più violenti i temporali e più persistente lo smog. L’intreccio di questi fattori crea un circolo vizioso che potrebbe aggravarsi nei prossimi anni. Per questo motivo, spiegano i ricercatori, combattere l’inquinamento atmosferico significa anche limitare i rischi associati ai fenomeni meteorologici estremi, proteggendo sia la salute delle persone sia la stabilità degli ecosistemi.