Mentre da più parti si dibatte, anche a colpi di proposte di modifica dell’attuale quadro normativo, della questione relativa alle potenziali conseguenze penali derivanti da reati commessi da malpratice medica, rimane tuttora aperto il fronte risarcitorio, dove si registrano quotidianamente pronunce di condanna al pagamento di risarcimenti a favore di pazienti (o dei loro congiunti) che, in taluni casi, raggiungono soglie economiche davvero importanti.
Questo settore risulta, da molti anni, fortemente caratterizzato dal ricorso, talvolta disinvolto, all’azione risarcitoria davanti agli organi giudiziali civili, dispiegata sia nei confronti delle strutture (pubbliche o private) che degli stessi operatori sanitari coinvolti dalla materiale esecuzione del trattamento censurato, senza dimenticare la possibilità per il danneggiato di invocare, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2055 c.c., la responsabilità solidale di entrambi che, se riconosciuta, amplifica enormemente le difficoltà di gestione dell’eventuale condanna monetaria.
Il risarcimento civilistico: rischi di condanna più elevati
Recenti analisi sul contenzioso civile italiano, hanno evidenziato come il trend dei procedimenti introdotti da pazienti, o dai loro eredi, per presunti casi di malpratice sanitaria concludono evidenziando esiti percentuali di accertamento della responsabilità, tutt’altro che rassicuranti.
Un recente studio (condotto da Eurispes) circoscritto alle sole procedure di accertamento tecnico preventivo ai fini della conciliazione, peraltro su un bacino altrettanto ridotto sia in termini temporali (dal 2017 al 2021) che giudiziali (la Sez. XIII del Tribunale di Roma), ha evidenziato che, a differenza del contenzioso penale, quasi 2/3 dei ricorsi presentati hanno trovato favorevole accoglimento per le ragioni dei pazienti, aprendo di fatto la strada a possibili transazioni economiche, ovvero a successivi giudizi di merito dall’esito, in qualche modo, segnato vista l’acquisizione di una CTU, che aveva già individuato profili di responsabilità nell’operato dei sanitari e/o delle strutture riceventi.
È ben vero che, anche grazie alle importanti novità introdotte dalla L. n. 24/2017, sono soprattutto le strutture, pubbliche e private, ad essere coinvolte in prima battuta delle iniziative giudiziali promosse da coloro che ritengono di aver patito un danno da un trattamento sanitario incongruo, ma ciò non toglie che, in molti casi, si assiste ancora al coinvolgimento diretto anche del personale sanitario, sia in veste di libero professionista, sia per vederne comunque apprezzata la condotta colposa, ancorchè strutturato, senza dimenticare tutte quelle volte in cui quest’ultimi vengono chiamati in causa dalle stesse strutture ai fini del regresso.
La solidarietà: una spina nel fianco
L’aspetto su cui, malgrado tutti gli sforzi profusi in questo tempo, non si è ancora intervenuti attiene al vincolo della solidarietà fra operatore sanitario e relativa struttura, così come previsto dall’art. 2055, che di fatto rievoca quanto stabilito dall’art. 1294 c.c.
In estrema sintesi, è sempre il paziente che, assumendosi danneggiato da un atto sanitario, può liberamente scegliere se rivolgere le proprie istanze giudiziali nei confronti della struttura, presso la quale è stato eseguito l’intervento, il sanitario e/o i sanitari che lo hanno tenuto in cura, ovvero tutti indistintamente invocando, da un canto, l’accertamento della responsabilità contrattuale ed extra per quanto occorso e, per l’effetto, la loro condanna solidale al risarcimento di tutti i danni patiti.
Questo comporta – e bene ricordare - che, in caso di condanna solidale, il sanitario (così come la struttura ed altri condebitori) sarà sempre e comunque tenuto al pagamento in favore del paziente vittorioso di tutte le somme liquidate, ben potendo essere assoggettato ad azione esecutiva qualora, come talora accade in caso di medici strutturati, l’azienda non provveda immediatamente all’adempimento spontaneo dell’intero onere risarcitorio.
Un potenziale rimedio al problema
Una possibile soluzione di quello che, in ogni caso, rappresenta un vero e proprio sparacchio per l’intera categoria degli esercenti professionali sarebbe potuto essere quella di privare, come già accade per i giudizi di responsabilità per fatto illecito degli insegnanti, il medico dipendente, ovvero colui che risultasse comunque legato da un rapporto libero professionale con la struttura pubblica o privato, della legittimazione passiva nel giudizio di responsabilità, rimanendo chiaramente ferma la possibilità per le strutture di attivarsi, con gli strumenti già esistenti, per far valere i loro diritti in regresso, ovvero per danno erariale in caso di pubblico impiego.
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La condanna alle spese di lite: un deterrente che funziona
Mentre si attendono soluzioni idonee a garantire, anche sotto un profilo strettamente civilistico risarcitorio, più ampie tutele a favore degli operatori sanitari (ovviamente, senza che ciò vada ad incidere sul diritto dei danneggiati al giusto ristoro dei danni patiti), con relativo recupero di quella serenità necessaria al mantenimento di standard prestazionali elevati, c’è da dire che, in questo momento, esiste uno strumento che, in qualche modo, sta contribuendo a deflazionare il contenzioso sanitario.
Si tratta dell’istituto della regolazione delle spese processuali che, in questi casi, ha assunto un ruolo davvero importante, responsabilizzando maggiormente coloro che vogliano coltivare azioni talvolta prive di adeguato sostegno probatorio, magari coinvolgendo indiscriminatamente tutto un gruppo di operatori in un unico evento lesivo, senza identificare specifici profili di responsabilità.
Non è raro rinvenire nel nostro contesto giudiziale, soprattutto nei casi di trattamenti in équipe o multidisciplinari, richieste di risarcimento estese anche a soggetti nei cui confronti non viene specificata alcuna condotta colposa, ovvero risulti priva di ogni riflesso causale sull’avveramento del danno.
Ebbene, questa leggerezza processuale viene ora fortemente sanzionata dai magistrati, con condanne dei pazienti (o dei loro congiunti) al pagamento in favore dei professionisti andati esenti da colpe di somme piuttosto rilevanti a titolo di rimborso spese.
Nell’applicare rigorosamente il principio della soccombenza e dovendo tener conto del valore economico della pretesa economica comunque azionata dal paziente, alcuni giudici, nel regolare le spese di lite a favore di quei sanitari di cui è stata esclusa, all’esito del processo, la responsabilità per i fatti avvenuti, sono giunti a riconoscere a favore rimborsi addirittura superiori ai 40-50 mila euro per ciascun sanitario, con il rischio, neppure tanto remoto per una certa giurisprudenza (Cass. Civ. n. 23948/2019), di vedersi accollati anche i costi delle inutili chiamate in causa dei rispettivi istituti assicurativi, a fronte di un’inutile domanda di manleva, rimasta assorbita dal giretto della domanda risarcitoria.