Esenzione Buoni Pasto da 8 a 10 euro: i vantaggi per direttori di clinica privata e farmacie

La Manovra 2026 alza l’esenzione fiscale dei buoni pasto elettronici a 10 euro: più welfare, meno tasse e deduzioni per cliniche private e farmacie.

Sommario

  1. Quadro normativo: innalzamento della soglia di esenzione a 10 euro
  2. Vantaggi fiscali e contributivi per i datori di lavoro di cliniche private e farmacie
  3. Benefici organizzativi: fidelizzazione e incentivazione del personale
  4. Confronto pratico: soglia 8€ vs 10€ – esempi numerici per azienda e dipendente
  5. Adeguamenti operativi: contratti, welfare aziendale e ottimizzazione del beneficio

L’innalzamento della soglia di esenzione fiscale dei buoni pasto elettronici da 8 a 10 euro al giorno, previsto nella bozza della Legge di Bilancio 2026, rappresenta una novità di rilievo per il settore sanitario privato e per le farmacie. In un contesto economico caratterizzato da inflazione e crescente attenzione al welfare aziendale, questa misura offre opportunità sia in termini di ottimizzazione dei costi per le imprese, sia di maggior potere d’acquisto e soddisfazione per i dipendenti. Di seguito analizziamo nel dettaglio gli aspetti normativi, i benefici fiscali e contributivi per i datori di lavoro, i vantaggi organizzativi legati alla fidelizzazione del personale, alcuni esempi numerici di convenienza e le considerazioni pratiche per adeguare contratti e politiche aziendali.

Quadro normativo: innalzamento della soglia di esenzione a 10 euro

La bozza del Disegno di Legge di Bilancio 2026 (bollinata il 22 ottobre 2025) introduce l’aumento della soglia di esenzione fiscale per i buoni pasto elettronici da 8 a 10 euro giornalieri. In particolare, l’art. 5 del disegno di legge – rubricato “Modifica alla disciplina fiscale delle prestazioni sostitutive del vitto rese in forma elettronica” – interviene sull’art. 51, comma 2, lettera c) del TUIR (D.P.R. 917/1986) innalzando da 8 a 10 euro l’importo massimo per giorno lavorativo dei buoni pasto elettronici che non concorre alla formazione del reddito di lavoro dipendente. Ciò significa che dal 1° gennaio 2026 (in assenza di una data specifica, l’entrata in vigore coinciderà con l’anno d’imposta 2026) i ticket restaurant in formato elettronico fino al valore di 10€ al giorno saranno interamente esenti da imposte e contributi, al pari di quanto già avveniva fino a 8€.

Vale la pena ricordare che la normativa vigente (art. 51, co.2, lett. c TUIR) stabiliva finora due soglie diverse: 8 euro per i buoni pasto elettronici/digitali e 4 euro per quelli cartacei. Entro tali limiti, il valore del buono non concorre a formare il reddito da lavoro dipendente e non è soggetto a ritenute fiscali né previdenziali. La Legge di Bilancio 2020 aveva già operato un riallineamento delle soglie (riducendo quella dei buoni cartacei da 5,29€ a 4€ e aumentando quella degli elettronici da 7€ a 8€) per incentivare l’uso dei ticket digitali. Con la Manovra 2026 si compie un ulteriore passo in questa direzione: resta ferma a 4 euro l’esenzione per i voucher cartacei, mentre sale a 10 euro quella per gli elettronici. La norma in discussione conferma dunque il doppio binario cartaceo vs elettronico, rendendo quest’ultimo ancor più vantaggioso e presumibilmente destinato a diventare lo standard di mercato.

Dal punto di vista formale, la modifica normativa sarà inserita nella legge di bilancio 2026 in corso di approvazione in Parlamento, con decorrenza dal nuovo anno fiscale. Il riferimento preciso è l’art. 5 del DdL Bilancio 2026, e l’intervento consiste nella sostituzione del valore “8 euro” con “10 euro” all’interno dell’art. 51, comma 2, lett. c) del TUIR. Pertanto, a regime: “non concorrono a formare il reddito (da lavoro dipendente) le prestazioni sostitutive di mensa (buoni pasto) rese in forma elettronica entro il limite di 10 euro giornalieri”. Questa modifica normativa è di natura fiscale e si inserisce nel capitolo welfare aziendale della manovra: come evidenziato dalla stampa specializzata, si tratta di un intervento mirato a sostenere il potere d’acquisto dei lavoratori attraverso un regime fiscale di favore.

Vantaggi fiscali e contributivi per i datori di lavoro di cliniche private e farmacie

Dal punto di vista di un direttore di clinica privata o di una farmacia, l’innalzamento della soglia di esenzione sui buoni pasto elettronici comporta importanti benefici fiscali e contributivi. In generale, i buoni pasto godono già di un trattamento agevolato: le aziende possono dedurre integralmente i costi sostenuti per l’acquisto dei ticket destinati ai dipendenti (purché l’erogazione riguardi la generalità dei lavoratori o categorie omogenee). Questo significa che la spesa per i buoni pasto è interamente deducibile dal reddito d’impresa ai fini IRES (o IRPEF per ditte individuali in regime ordinario) e anche ai fini IRAP, venendo considerata costo per servizi inerente all’attività. La deducibilità al 100% del costo dei buoni pasto per il datore di lavoro è confermata dalla prassi fiscale ed è subordinata alla condizione sopra citata (erogazione a tutti i dipendenti o a categorie di essi) come da Circolare Ministeriale n. 326/E/1997. In aggiunta, anche l’IVA applicata dalle società emittenti sui buoni pasto elettronici è agevolata al 4% e interamente detraibile – un ulteriore piccolo vantaggio in termini di costi operativi (specie per le farmacie, che effettuano operazioni imponibili IVA, questo consente di recuperare l’imposta assolta sui voucher).

Ancor più rilevante è l’aspetto previdenziale e contributivo: i buoni pasto, entro la soglia di esenzione stabilita, non costituiscono retribuzione imponibile ai fini dei contributi previdenziali e assistenziali. Ciò implica che il datore di lavoro non deve versare contributi INPS (a suo carico né a carico del dipendente) sull’importo dei buoni pasto entro il limite giornaliero esente. Nella pratica, ogni euro riconosciuto al dipendente sotto forma di buono pasto esente comporta un risparmio contributivo pari all’aliquota datoriale (circa 30% nelle gestioni ordinarie) rispetto al medesimo euro erogato come retribuzione monetaria. Con l’aumento della soglia a 10€, questo beneficio si estende fino a 2 euro in più al giorno rispetto al passato. Ad esempio, 2 euro di buono pasto aggiuntivo per ogni giorno lavorativo rappresentano circa 0,60 € di contributi INPS risparmiati al giorno per dipendente (ipotizzando un’aliquota del 30% a carico azienda) che su base annua equivalgono a oltre 130 € di minor costo per ciascun dipendente. Inoltre, poiché i buoni pasto esenti non sono qualificati come reddito da lavoro, non maturano istituti contrattuali come tredicesima, quattordicesima mensilità o TFR su tali importi. Questo aspetto è particolarmente importante nel settore sanitario privato e nel commercio (farmacie), dove il costo del lavoro include anche quote differite: convertire parte del pacchetto retributivo in buoni pasto esenti significa ridurre anche l’incidenza di TFR e mensilità aggiuntive su quella quota, contribuendo a contenere il costo globale del personale.

In sintesi, per il datore di lavoro di una clinica o farmacia, erogare 10 euro in buoni pasto al giorno per dipendente costa molto meno che erogare lo stesso importo in busta paga. Come evidenziano gli esperti, i buoni pasto godono di un sistema di agevolazioni unico, che combina deducibilità integrale del costo per l’azienda e esenzione da imposte e contributi entro la soglia per il dipendente. Queste caratteristiche riducono il cosiddetto cuneo fiscale sul beneficio erogato: la spesa sostenuta dall’impresa si traduce quasi interamente in potere d’acquisto netto per il lavoratore, con un’efficienza fiscale molto superiore rispetto alla remunerazione monetaria tradizionale. Per strutture sanitarie private e attività parafarmaceutiche – spesso caratterizzate da margini operativi contenuti e da necessità di ottimizzare i costi del personale – tale misura consente di migliorare il rapporto costi/benefici delle politiche retributive e di investire nel benessere dei dipendenti senza aggravare il monte salari imponibile.

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Benefici organizzativi: fidelizzazione e incentivazione del personale

Accanto ai risparmi economico-fiscali, l’aumento della soglia esentasse dei buoni pasto offre significativi vantaggi gestionali in termini di clima aziendale, incentivazione e fidelizzazione dei dipendenti. Nel settore sanitario privato e nelle farmacie, dove il personale (medici, infermieri, farmacisti, tecnici e commessi) riveste un ruolo centrale nella qualità del servizio, disporre di strumenti efficaci di welfare aziendale è fondamentale per attrarre e trattenere talenti. I buoni pasto si confermano in questo senso uno dei benefit più apprezzati in assoluto in Italia: secondo un’indagine Edenred, l’87% dei lavoratori italiani considera il buono pasto uno strumento fondamentale per gestire il proprio budget alimentare. Tale percentuale – superiore alla media europea – indica quanto i dipendenti diano valore a questo benefit, percependolo come un supporto concreto al potere d’acquisto e al work-life balance.

Per un direttore di clinica o il titolare di una farmacia, poter garantire ai propri collaboratori un buono pasto di importo più elevato (fino a 10 euro) incide positivamente sulla soddisfazione e sul benessere del personale. In pratica, con 10 euro si avvicina maggiormente il valore del buono al costo reale di un pasto completo, soprattutto nelle aree metropolitane dove pranzare può essere più oneroso. Ciò significa che il dipendente ha meno spese extra da sostenere per il pranzo e percepisce l’impegno dell’azienda nel provvedere al suo benessere quotidiano. Questo può tradursi in maggiore motivazione, riconoscenza e senso di appartenenza. In un contesto come la sanità privata, dove spesso i turni sono lunghi e stressanti, offrire una pausa pranzo adeguata e finanziata dall’azienda contribuisce a migliorare la qualità della vita lavorativa e può ridurre lo stress. Analogamente, nel caso delle farmacie – che rimangono aperte anche in orario pranzo – assicurare ai farmacisti e ai commessi un buono pasto di valore congruo permette loro di fare una pausa ristoro dignitosa, con impatto positivo sul morale e sulla produttività al rientro in servizio.

Numerosi studi in ambito HR confermano che i programmi di welfare aziendale, tra cui i buoni pasto, aumentano l’engagement e la fedeltà: i dipendenti si sentono più valorizzati e sono meno propensi a cercare opportunità altrove quando l’azienda investe nel loro benessere. I buoni pasto, in particolare, vengono percepiti come parte integrante della retribuzione e, essendo esentasse, equivalgono a un aumento “pulito” dello stipendio netto. Per questo motivo, l’effetto incentivante è significativo. Secondo Il Sole 24 Ore, la misura in questione avrà un impatto su circa 3,5 milioni di lavoratori in Italia (di cui 700 mila nel pubblico impiego) che già beneficiano dei ticket restaurant. In prospettiva, quei lavoratori avranno fino a 500 euro annui in più di potere d’acquisto in tasca grazie alla soglia esentasse elevata. Questo incremento tangibile del reddito disponibile migliora il grado di soddisfazione verso il proprio lavoro e verso il datore di lavoro.

Per le cliniche private e le farmacie, spesso impegnate a fidelizzare personale specializzato (si pensi alla concorrenza per infermieri qualificati o per direttori tecnici di farmacia), disporre di un pacchetto di benefit competitivo può fare la differenza. I buoni pasto a 10 euro possono essere utilizzati anche come leva di attraction & retention nelle politiche HR: ad esempio, evidenziando in fase di colloquio che l’azienda offre il valore massimo di ticket esente, oppure inserendoli come parte di un piano di welfare flessibile dove il dipendente può scegliere benefit. Il costo relativamente contenuto per l’azienda, a fronte di un valore percepito elevato per il lavoratore, rende questo strumento estremamente efficiente per aumentare la loyalty del team. In sintesi, “ci guadagnano sia le aziende che i dipendenti, in termini di risparmio e di maggiori possibilità di spesa”: un equilibrio virtuoso che contribuisce a un ambiente di lavoro più sereno e collaborativo, elemento chiave per organizzazioni come strutture sanitarie e punti vendita di servizi farmaceutici dove la qualità del servizio è legata anche alla motivazione del personale.

Confronto pratico: soglia 8€ vs 10€ – esempi numerici per azienda e dipendente

Per comprendere appieno l’impatto dell’innalzamento della soglia esentasse, è utile confrontare con esempi numerici la situazione precedente (soglia 8€) e quella nuova (soglia 10€), sia dal lato del dipendente sia da quello dell’azienda. Consideriamo un dipendente full-time che lavora circa 220 giorni l’anno e un’azienda che eroga buoni pasto elettronici per ogni giornata lavorativa:

  • Prima (soglia 8 €): Il valore massimo totalmente esente per ogni giorno era 8€. Se l’azienda concedeva buoni del valore di 8 ciascuno, il dipendente riceveva 760 € annui netti in buoni pasto (8 € × 220 gg), completamente esenti da tasse. Se invece l’azienda decideva di erogare buoni di importo superiore (es. 10 al giorno), l’eccedenza di 2 € per ciascun buono costituiva fringe benefit imponibile: quei 2 € avrebbero concorso al reddito imponibile del dipendente e sarebbero stati soggetti a contribuzione. Ipotizzando un’aliquota marginale IRPEF del 30% e contributi a carico dipendente del 9%, di quei 2 € aggiuntivi il lavoratore avrebbe ottenuto circa 1,20-1,30 € netti, mentre circa 0,70-0,80 sarebbero andati in imposte e contributi. Di conseguenza, con buoni da 10 € sotto il vecchio regime, il guadagno netto annuo per il dipendente era intorno a 1.930 € (1.760 € esenti + 170 € netti sui 440 € eccedenti tassati). Dal lato azienda, quei 2 € per buono giornaliero erano soggetti a contribuzione circa al 30%: ogni ticket da 10 € comportava quindi circa 0,60 di contributi giornalieri aggiuntivi a carico del datore di lavoro, oltre al costo del buono stesso. Su 220 giorni, ciò equivaleva a 132 € annui di maggior esborso contributivo per dipendente. In sintesi, con la soglia a 8 , un buono da 10 € costava all’azienda circa 10 € + contributi (10,60 € al giorno) e garantiva al lavoratore circa 9,2 € di valore netto equivalente per ogni giorno.
  • Dopo (soglia 10 €): Con l’entrata in vigore della nuova norma, un buono pasto elettronico di 10 rientra interamente nel limite di esenzione. Pertanto l’intero importo (10 €) non sarà imponibile per il dipendente né soggetto a contributi. Il dipendente riceverà così 200 € annui netti in buoni pasto (10 € × 220 gg), con un incremento di +440 € netti all’anno rispetto al regime precedente a parità di valore facciale. Si tratta di un guadagno netto immediato (circa +440 €) che non viene intaccato da alcuna trattenuta fiscale in busta paga. Dal lato dell’azienda, ogni buono da 10 € resta esente da contributi, quindi il costo giornaliero per dipendente è esattamente 10 (più l’IVA al 4% detraibile e una piccola commissione al provider, costi invariati rispetto a prima). Il risparmio per il datore di lavoro è pari ai contributi che non deve più versare sull’eccedenza: riprendendo l’esempio, circa 0,60 € al giorno per dipendente, equivalenti ai già citati 130 € annui di minor costo contributivo per ciascun lavoratore. Detto in altri termini, l’azienda può destinare 440 € annui in più per ogni dipendente sotto forma di buoni pasto senza spendere un euro in più di contributi rispetto a prima, massimizzando l’efficienza fiscale.

Un altro modo di valutare la convenienza del buono pasto è confrontarlo con un’erogazione monetaria equivalente. Riprendendo un’analisi elaborata da Edenred Italia, 8 € netti al giorno in tasca al dipendente richiedono meccanismi del tutto diversi a seconda di come vengono corrisposti. Se l’azienda aggiungesse 8 € al giorno in busta paga come indennità sostitutiva, al dipendente arriverebbero circa 4,92 € netti dopo tasse e contributi. Se lo stesso importo di 8 € fosse erogato tramite buono pasto cartaceo, l’effetto netto salirebbe a circa 6,46 € (grazie all’esenzione parziale fino a 4 €). Con un buono pasto elettronico da 8 €, invece, il lavoratore ottiene l’intero 8 € di valore perché entro soglia esente. Questo esempio, proiettato ora sulla soglia 10 €, significa che con i nuovi buoni pasto elettronici l’azienda può garantire 10 € di potere d’acquisto effettivo per ogni giorno lavorato, a fronte di un costo aziendale di 10 € (deducibile al 100%) – mentre per erogare 10 € netti in busta paga il costo sarebbe ben superiore (probabilmente oltre 15 € considerando contributi e imposte). In termini annuali, 2.200 € in buoni pasto equivalgono, in termini di beneficio per il dipendente, a un aumento salariale netto di 2.200 €, che però l’azienda ottiene con un esborso di 2.200 € stesso (oltre IVA detraibile), invece di dover sostenere un costo lordo di circa 3.000 € (ipotesi) per offrire un simile aumento via stipendio tradizionale.

Alla luce di questi numeri, risulta evidente il doppio vantaggio apportato dall’innalzamento della soglia: il dipendente ottiene una somma maggiore esentasse (circa 440 € annui in più) rafforzando il proprio reddito disponibile, e l’azienda può concedere questo beneficio senza oneri aggiuntivi (anzi, risparmiando contributi se già erogava importi superiori a 8 €). Su larga scala, si stima che la misura possa generare “circa 500 euro in più all’anno nelle tasche dei lavoratori” mediamente. Non sorprende che un’analisi condotta da The European House – Ambrosetti ed Edenred abbia concluso che l’intervento produce un effetto positivo anche per l’Erario: l’aumento dei consumi generato da maggiori buoni pasto in circolazione (fino a +1,9 miliardi € di spesa) comporterebbe un gettito IVA aggiuntivo tale da più che compensare il minore gettito IRPEF, con un saldo netto positivo stimato tra 95 e 110 milioni di euro per lo Stato. In altre parole, il passaggio da 8 a 10 euro crea un circolo virtuoso: vantaggi per dipendenti, imprese e perfino benefici indiretti per l’economia nazionale grazie al rilancio della spesa nella ristorazione.

Adeguamenti operativi: contratti, welfare aziendale e ottimizzazione del beneficio

Per sfruttare al meglio la nuova soglia di esenzione, i datori di lavoro nel settore sanitario privato e nelle farmacie dovranno effettuare alcuni adeguamenti pratici e strategici nelle proprie politiche retributive e di welfare aziendale. Ecco le principali considerazioni operative:

  • Revisione dei valori dei buoni pasto nei contratti: Occorre verificare come sono attualmente regolati i buoni pasto nei contratti individuali o nella contrattazione collettiva applicata. Molti CCNL di settore (ad esempio il CCNL per le farmacie private, o accordi aziendali nelle cliniche) fissano un importo minimo o standard per il buono pasto. Se tale importo oggi è inferiore a 10 € (molto comune, spesso attorno a 5-8 €), il datore di lavoro può valutare di aumentarlo fino al nuovo massimale. Questo potrebbe richiedere un confronto con le rappresentanze sindacali interne o un atto unilaterale aziendale (se i buoni pasto sono erogati a discrezione del datore). In ogni caso, l’aggiornamento andrebbe comunicato per tempo ai dipendenti, idealmente indicando che a partire da gennaio 2026 il valore facciale del ticket sarà innalzato a 10 €. Questa modifica sarà accolta positivamente dal personale, costituendo di fatto un incremento del pacchetto retributivo netto senza alcuna penalizzazione fiscale.
  • Passaggio ai buoni elettronici: Per chi non lo avesse ancora fatto, è fortemente consigliato adottare i buoni pasto in forma elettronica. Infatti, il divario normativo tra buoni cartacei (esenti solo fino a 4 €) ed elettronici (ora 10 €) diventa ancora più marcato. Una farmacia o una clinica che ancora distribuisse buoni cartacei ai dipendenti si troverebbe a offrire un benefit molto meno efficace fiscalmente. Il passaggio al formato elettronico (card o app) è ormai prassi diffusa e porta vantaggi amministrativi (gestione più snella, niente carnet da consegnare fisicamente) oltre che fiscali. Come sottolineato da operatori del settore, i buoni pasto digitali semplificano la logistica, eliminano costi di spedizione e permettono persino ordini online di cibo, rispondendo alle nuove abitudini post-pandemia. Digitalizzare i buoni pasto è dunque una priorità per massimizzare il beneficio: solo così si potrà sfruttare appieno l’esenzione fino a 10 € e al contempo migliorare l’esperienza d’uso per i dipendenti.
  • Adeguamento dei piani di welfare aziendale: L’innalzamento della soglia potrebbe essere l’occasione per rivedere il complesso delle misure di welfare offerte dall’azienda. Nel settore sanitario privato e nelle farmacie, spesso il welfare comprende assicurazioni sanitarie, buoni acquisto, convenzioni, ecc. I buoni pasto elettronici, pur essendo tecnicamente un fringe benefit con disciplina propria, fanno parte integrante di questo mosaico. Con la nuova norma, destinare risorse aggiuntive ai buoni pasto risulta una scelta altamente efficiente. Ad esempio, un direttore di clinica potrebbe decidere di ridurre leggermente altri benefit meno utilizzati per finanziare 2 € in più di buono pasto al giorno, sapendo che quella somma arriverà integra ai dipendenti e sarà deducibile al 100%. Le politiche di flexible benefit possono essere aggiornate di conseguenza, dando magari ai lavoratori la possibilità di scegliere (entro un budget prefissato) se ricevere più buoni pasto oppure altri servizi. Dato che i buoni pasto in Italia sono percepiti quasi come “moneta complementare” per le spese alimentari quotidiane, aumentarne il valore può avere un impatto immediato sul benessere del personale e sul clima aziendale.
  • Massimizzare il beneficio entro i limiti di legge: Per evitare di perdere il vantaggio fiscale, è importante mantenere il valore del buono entro il limite di 10 . Se per qualche ragione un’azienda volesse offrire un importo giornaliero superiore (es. 12 €), la parte eccedente (2 €) sarebbe tassata e contribuirebbe alla retribuzione imponibile, vanificando in parte l’efficacia dell’operazione. Dunque, la strategia ottimale è non superare la soglia. Eventuali esigenze di offrire un benefit ulteriore oltre i 10 € per il pranzo possono essere soddisfatte con strumenti diversi (ad es. aumenti in busta paga mirati, o altri fringe benefit come buoni spesa) tenendo conto che esiste anche una soglia annua generale per i fringe benefit (nel 2025 pari a 258,23 €, salvo aumenti straordinari per specifiche categorie). Va sottolineato però che i buoni pasto non rientrano in quella soglia annua generale in quanto godono di disciplina autonoma, perciò 2.200 € annui in buoni pasto esenti possono coesistere con altri eventuali benefit esentasse (nei limiti di legge) senza interferenze. Questo permette, ad esempio, a un titolare di farmacia di offrire sia il massimo di buoni pasto sia ulteriori benefit (come buoni carburante, rimborsi bollette, ecc. se previsti) ottimizzando il regime fiscale complessivo della retribuzione.
  • Implicazioni ai fini IRAP: Una considerazione pratica rilevante per le imprese (soprattutto strutture sanitarie) riguarda l’IRAP. Come anticipato, i costi dei buoni pasto sono deducibili anche ai fini IRAP in quanto classificabili nel bilancio civilistico tra le spese per servizi. È opportuno che l’azienda si coordini con il proprio consulente contabile per assicurare la corretta classificazione a bilancio di tali costi (voce B7 del Conto Economico “Prestazioni di servizi” anziché nel costo del personale), in modo da fruire pienamente della deduzione IRAP prevista dal D.Lgs. 446/1997 (art. 5-bis). In Lombardia, ad esempio, le aziende sanitarie private potrebbero beneficiare dell’azzeramento dell’IRAP sul costo lavoro a tempo indeterminato (agevolazione regionale vigente): qualora ciò non coprisse il costo dei buoni, la loro deducibilità in base alle norme citate rimane comunque confermata. In altri termini, il costo dei ticket non subisce il “penalty” dell’indeducibilità IRAP che affligge invece le retribuzioni in alcune situazioni: questo rafforza ulteriormente la convenienza del buono pasto come strumento di compenso.
  • Tempistiche e comunicazione: Dal punto di vista operativo, i direttori e gli imprenditori dovrebbero prepararsi per tempo all’entrata in vigore della norma (probabilmente 1° gennaio 2026). È consigliabile prendere contatto con la società emettitrice dei buoni pasto per aggiornare il valore nominale dei ticket forniti ai dipendenti. La maggior parte dei provider consentirà un passaggio agevole da 8 a 10 euro per ticket elettronico, ma potrebbe essere necessario formalizzare un nuovo accordo o ordine d’acquisto. Parallelamente, andrebbe redatta una comunicazione interna ai dipendenti annunciando l’aumento del valore del buono pasto, sottolineando che ciò è reso possibile dalla nuova normativa fiscale (magari citando l’art. 5 della Legge di Bilancio 2026) e che l’azienda ha scelto di aderire immediatamente a questo beneficio per supportare i propri collaboratori. Una tale comunicazione avrà un effetto motivazionale positivo, segnalando attenzione da parte del management alle opportunità legislative a vantaggio dei lavoratori.

In conclusione, l’esenzione fiscale elevata a 10 € per i buoni pasto elettronici rappresenta una win-win per tutti i soggetti coinvolti: gli imprenditori di cliniche private e farmacie potranno offrire un sostegno economico maggiore ai propri dipendenti senza aumentare il costo del lavoro, beneficiando anzi di deduzioni e risparmi contributivi; i dipendenti otterranno un incremento immediato del reddito disponibile (fino a 440-500 € netti annui in più) senza alcuna tassazione aggiuntiva, con effetti positivi sul morale e sulla capacità di spesa; il settore della ristorazione e l’economia locale vedranno maggiori consumi durante la pausa pranzo; infine anche il Fisco potrà giovarsi dell’effetto espansivo sui consumi in termini di gettito IVA. Dal punto di vista gestionale, i buoni pasto a 10 euro divengono uno strumento ancora più centrale nelle politiche retributive del settore sanitario e del commercio: come sintetizzato da una pubblicazione di settore, “i buoni pasto sono una leva strategica irrinunciabile per ogni azienda che mira a risparmiare, motivare e fidelizzare i propri dipendenti”. I direttori di cliniche private e i titolari di farmacie sono dunque chiamati a cogliere questa opportunità, aggiornando i propri modelli organizzativi e contrattuali per massimizzare il beneficio nei limiti previsti e assicurare un ritorno positivo sia in termini economici che di clima aziendale. Le premesse normative sono poste; la corretta attuazione sul campo permetterà di trasformare questa novità legislativa in un vantaggio competitivo concreto nel 2026 e oltre.

Di: Marco Ginanneschi, commercialista-revisore legale e fondatore di Sercam Advisory

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