Nuovo Piano nazionale salute mentale: più fondi, più personale e programmazione regionale

La manovra destina risorse vincolate del FSN al PANSM 2025–2030, prevedendo assunzioni e interventi mirati per migliorare i servizi e ridurre le diseguaglianze territoriali.

Sommario

  1. Istituzione del PANSM 2025–2030 e finanziamenti previsti
  2. Quota vincolata del Fondo Sanitario Nazionale per il PANSM
  3. Assunzioni di personale nei Dipartimenti di Salute Mentale (DSM)
  4. Fabbisogni di personale e criteri di programmazione regionale
  5. Impatti organizzativi e professionali: pianificazione integrata, formazione e offerta territoriale

Il disegno di Legge di Bilancio 2026 introduce una misura storica per la salute mentale, istituendo il Piano Nazionale di Azioni per la Salute Mentale 2025–2030 (PANSM) e finanziandolo con risorse dedicate. Si tratta di un intervento atteso da tempo: il nuovo PANSM arriva infatti a dodici anni di distanza dal precedente Piano nazionale (approvato nel 2013) e mira a rilanciare una strategia unitaria nel settore della salute mentale. La manovra riserva una quota vincolata del Fondo Sanitario Nazionale (FSN) per supportare gli obiettivi e le azioni strategiche del Piano, tra cui rientrano il potenziamento dei servizi territoriali, programmi di prevenzione e l’incremento del personale nei Dipartimenti di Salute Mentale (DSM). Di seguito si analizzano nel dettaglio la disposizione normativa, il meccanismo di finanziamento tramite quota vincolata FSN, le facoltà assunzionali per le Regioni, le esigenze programmatorie in termini di fabbisogni di personale e le implicazioni organizzative e professionali di questa misura.

Va premesso che l’attenzione alla salute mentale è motivata dalla crescita del bisogno di cure nel Paese. La Relazione Tecnica che accompagna la norma evidenzia l’aumento sia del numero di cittadini in carico ai servizi di salute mentale sia degli accessi al pronto soccorso per disturbi psichiatrici. Secondo il Rapporto Salute Mentale 2023 del Ministero della Salute, gli utenti psichiatrici assistiti nel 2023 sono stati 854.040, in netto aumento rispetto ai 776.829 dell’anno precedente; analogamente, gli accessi in emergenza per problematiche psichiatriche sono saliti a 573.663 (contro 547.477 del 2022). Questi dati sottolineano l’urgenza di interventi strutturali: il PANSM 2025–2030 intende proprio rispondere a tali bisogni emergenti, delineando strategie integrate di promozione, prevenzione, cura e riabilitazione in ambito di salute mentale lungo tutto il corso di vita.

Istituzione del PANSM 2025–2030 e finanziamenti previsti

La bozza di Legge di Bilancio 2026, all’art. 65, istituisce formalmente il Piano nazionale di azioni per la salute mentale 2025–2030 (PANSM) e ne garantisce la copertura finanziaria mediante stanziamenti dedicati per ciascun anno del quinquennio di riferimento. In particolare, il comma 1 dell’art. 65 prevede la destinazione di una quota del fabbisogno sanitario nazionale standard (cioè del FSN) pari a: 80 milioni di euro per il 2026, 85 milioni per il 2027, 90 milioni per il 2028 e 30 milioni di euro annui a decorrere dal 2029. Queste risorse sono finalizzate alla realizzazione degli obiettivi e delle azioni strategiche definiti nel PANSM 2025–2030. In altri termini, la norma vincola una parte del finanziamento statale della sanità al potenziamento dei servizi per la salute mentale, stanziando importi crescenti nel triennio iniziale 2026-2028 e stabilizzando poi un finanziamento strutturale di 30 milioni annui dal 2029 in avanti. Tale andamento decrescente (da 90 milioni nel 2028 ai 30 milioni/anno dal 2029) indica che dopo la fase di lancio del Piano con maggiore investimento, il finanziamento aggiuntivo si assesterà su una quota permanente, presumibilmente destinata a mantenere e consolidare gli interventi attivati.

Dal punto di vista normativo, l’articolo in esame definisce esplicitamente lo scopo di questo finanziamento: supportare le strategie e azioni previste dal PANSM. Il Piano nazionale – elaborato dal Tavolo tecnico per la salute mentale istituito dal Ministero della Salute – individua sei aree di intervento chiave: promozione, prevenzione e cura in salute mentale; salute mentale in infanzia e adolescenza (e transizione verso l’età adulta); interventi per pazienti autori di reato; management e sicurezza in salute mentale; integrazione socio-sanitaria; formazione e ricerca in salute mentale. Per ognuna di queste aree il PANSM definisce obiettivi specifici, azioni da intraprendere, attori coinvolti e indicatori di risultato. La legge di bilancio funge dunque da volano finanziario per l’attuazione del Piano, assicurando fondi dedicati al fine di tradurre in pratica le linee strategiche nazionali. Si noti che, al momento dell’approvazione della manovra in Consiglio dei Ministri, il PANSM 2025–2030 risultava già redatto nelle sue linee generali ma non ancora formalmente approvato in sede di Conferenza Unificata Stato-Regioni. L’aspettativa è che l’Intesa sul Piano venga sancita a breve, così che dal 2026 le Regioni possano attuare gli interventi previsti contando sulle risorse stanziate.

Dal punto di vista delle coperture, gli oneri di questa disposizione risultano a valere sull’incremento del FSN previsto dall’art. 63 del medesimo disegno di legge. In effetti la manovra 2026 nel suo complesso aumenta il finanziamento del FSN di 5 miliardi nel 2026 (e di ulteriori 5,7 mld nel 2027 e 7 mld nel 2028) per far fronte alle necessità del Servizio Sanitario Nazionale. Una parte di questo aumento viene dunque destinata in modo vincolato alla salute mentale (art. 65), così come altre quote sono finalizzate ad esempio al rafforzamento della prevenzione, all’aggiornamento delle tariffe e al sostegno di specifiche reti assistenziali. In sintesi, il PANSM viene inserito in Legge di Bilancio come programma pluriennale da finanziare nell’ambito del FSN, garantendogli una base economica certa per il quinquennio 2025-2030.

Quota vincolata del Fondo Sanitario Nazionale per il PANSM

L’aspetto centrale della norma è l’utilizzo di una quota vincolata del FSN per le attività del Piano di salute mentale. Ciò significa che le somme stanziate (80-90 milioni nel triennio, poi 30 milioni annui) escono dal calderone indistinto del finanziamento sanitario alle Regioni e vengono destinate esclusivamente al PANSM con un vincolo di scopo ben preciso. Questo meccanismo di earmarking assicura che le risorse aggiuntive non si disperdano nel finanziamento ordinario della sanità, ma siano effettivamente impiegate per potenziare i servizi di salute mentale secondo le linee concordate a livello nazionale. In passato, la salute mentale ha spesso sofferto di sottofinanziamento e disomogeneità territoriale, anche per l’assenza di fondi dedicati; la previsione di una quota vincolata rappresenta quindi un cambio di approccio, volto a garantire un livello minimo di investimento in questo ambito su tutto il territorio nazionale.

Dal punto di vista operativo, la ripartizione dei fondi tra le Regioni avverrà tramite un decreto attuativo del Ministero della Salute, di concerto con il MEF, da emanarsi entro 120 giorni dall’entrata in vigore della legge. Il decreto, sentita la Conferenza Stato-Regioni, definirà i criteri di riparto dell’importo annuo fra le diverse Regioni e Province Autonome. Tali criteri potrebbero verosimilmente tenere conto di indicatori di fabbisogno (popolazione, prevalenza di disturbi mentali, dotazione di servizi, etc.) per assegnare le risorse in maniera equa e mirata alle zone con maggior necessità. Crucialmente, il decreto disciplinerà anche il monitoraggio sull’utilizzo dei fondi e sull’attuazione delle azioni strategiche del PANSM. L’obiettivo esplicitato è “accertare il recepimento nella pianificazione regionale del mandato del Piano nonché il raggiungimento degli obiettivi strategici nazionali”. In altri termini, si instaurerà un sistema di verifica per assicurare che le Regioni integrino il PANSM nei propri programmi sanitari e che le risorse vincolate producano i risultati attesi (es. attivazione di nuovi servizi, ampliamento dell’utenza assistita, miglioramento di indicatori di salute mentale). Per rafforzare tale governance, il Servizio Studi del Senato ha suggerito di valutare l’opportunità di subordinare il decreto all’Intesa in Conferenza Stato-Regioni (anziché al solo parere), analogamente a quanto avviene per il riparto generale del FSN. Ciò conferirebbe maggiore coinvolgimento formale delle Regioni nell’accordo sulla distribuzione e sugli impegni connessi.

Un ulteriore vincolo introdotto dalla legge riguarda la destinazione interna delle risorse del PANSM: il 30% dei fondi assegnati nel triennio 2026-2028 dovrà essere riservato ad azioni di prevenzione. Il comma 2 dell’art. 65 impone infatti che una quota pari a trenta percento delle somme annue sia dedicata all’implementazione delle azioni di prevenzione previste dal Piano. Questo indica la chiara volontà di investire non solo nei servizi curativi, ma anche nelle attività preventive e di promozione della salute mentale (ad esempio programmi di sensibilizzazione, interventi precoci nelle scuole, screening e counseling nei contesti di vita, campagne anti-stigma, prevenzione del suicidio, ecc.). La previsione di un vincolo del 30% per la prevenzione è significativa: tradizionalmente, la prevenzione in salute mentale è stata poco finanziata, mentre ora viene riconosciuta come parte integrante e imprescindibile della strategia nazionale. Garantire che circa 24 milioni su 80 nel 2026 (e proporzionalmente negli anni successivi) vadano a progetti preventivi significa porre le basi per ridurre l’incidenza e la gravità dei disturbi mentali nel medio-lungo termine, in linea con l’approccio del PANSM e con le direttive dell’OMS (il Piano nazionale richiama infatti il Piano d’azione globale per la salute mentale 2013-2030 dell’Organizzazione Mondiale della Sanità).

In sintesi, la quota vincolata FSN per il PANSM funziona come un fondo dedicato all’interno del FSN stesso: stanziato dallo Stato, ripartito con procedura concertata, soggetto a monitoraggio puntuale e con sottovincoli di utilizzo (30% prevenzione). Questo modello garantisce un finanziamento finalizzato e tracciabile per la salute mentale, introducendo una leva di accountability sulle Regioni nell’attuazione di politiche concordate a livello centrale. Rappresenta dunque uno strumento di programmazione negoziata centro-periferia: lo Stato investe risorse aggiuntive e le Regioni si impegnano a destinarle a interventi specifici, rendicontandone gli esiti.

Assunzioni di personale nei Dipartimenti di Salute Mentale (DSM)

Una parte rilevante della misura riguarda il potenziamento degli organici dei servizi di salute mentale. Il comma 4 dell’art. 65 stabilisce infatti che, “nell’ambito delle risorse previste dal comma 1, è destinata una quota pari a 30 milioni di euro annui per l’assunzione a tempo indeterminato di personale dei ruoli sanitario e socio-sanitario da destinare ai servizi di salute mentale”. In altre parole, di ogni annualità finanziata per il PANSM, 30 milioni saranno riservati alle nuove assunzioni stabili di personale dedicato ai DSM. Questa previsione attribuisce alle Regioni la facoltà (e la copertura finanziaria) di assumere nuovo personale nei Dipartimenti di Salute Mentale – includendo sia professionisti sanitari (es. medici psichiatri, psicologi, infermieri, terapisti della riabilitazione psichiatrica) sia operatori socio-sanitari (educatori professionali, assistenti sociali e altre figure di supporto) – da impiegare nei servizi pubblici delineati dal Piano. Si tratta di personale aggiuntivo a tempo indeterminato, dunque con un investimento di lungo periodo sul capitale umano dei servizi di salute mentale.

Dal punto di vista normativo, i 30 milioni annui per le assunzioni non si sommano alle cifre stanziate, ma fanno parte di esse (ad esempio, sugli 80 milioni del 2026, 30 sono riservati a coprire costi di nuovo personale). La formulazione lascia intendere che sarà facoltà delle Regioni utilizzare tali risorse per assunzioni, nei limiti del plafond indicato. In pratica, nel decreto attuativo di riparto si dovrà probabilmente specificare la quota di fondo assegnata a ciascuna Regione da destinare a questo scopo. È plausibile che l’utilizzo effettivo per nuove assunzioni richieda alle Regioni di predisporre piani assunzionali ad hoc nei propri DSM, individuando il numero di operatori e i profili professionali da inserire in organico, coerentemente con le azioni da implementare del PANSM. Ad esempio, se il Piano prevede l’attivazione di équipe multiprofessionali domiciliari per la gestione delle crisi o l’introduzione dello psicologo di base nelle Case della Comunità, i nuovi assunti potrebbero essere mirati a queste attività.

Va sottolineato il carattere strutturale e strategico di questa misura assunzionale. A differenza di interventi passati spesso limitati a contratti a termine o progetti, qui si parla di personale stabile nel SSN, con costi che andranno a regime. Il fatto che dal 2029 il finanziamento complessivo per il PANSM cali a 30 milioni annui suggerisce che, esaurita la fase di avvio, quelle risorse potrebbero essere destinate principalmente a mantenere il personale assunto. Dunque, le Regioni dovranno farsi carico a regime delle spese di personale inglobandole nei propri budget sanitari, pena altrimenti il rischio di scoprire quei servizi dopo il 2030. In prospettiva, l’aspettativa è che i nuovi operatori entrino stabilmente nella dotazione organica dei dipartimenti, incrementando la capacità assistenziale in modo duraturo (ad esempio ampliando gli orari di apertura dei Centri di Salute Mentale, riducendo il carico per operatore, attivando nuovi programmi territoriali, ecc.).

Dal lato quantitativo, 30 milioni di euro annui a livello nazionale per assunzioni equivalgono a qualche centinaio di unità di personale aggiuntivo. Per avere un’idea, assumendo un costo annuo lordo medio di 50.000 € per operatore, si tratterebbe di circa 600 nuove assunzioni in tutta Italia (suddivise tra tutte le ASL). Si tratta di un incremento certamente positivo ma contenuto se confrontato con il deficit di organico accumulato nei servizi di salute mentale. Fonti specialistiche evidenziano che il fabbisogno di personale nei DSM è di gran lunga superiore: secondo la Società Italiana di Epidemiologia Psichiatrica (SIEP) servirebbero almeno 785 milioni di euro aggiuntivi all’anno per colmare le carenze di personale nei servizi di salute mentale. Tale cifra, pari a oltre 13.000 operatori mancanti (di cui circa 1.465 medici psichiatri, 589 psicologi e oltre 11.000 tra infermieri ed altre professionalità secondo un’analisi recente), è ben 26 volte lo stanziamento previsto dalla manovra. Pertanto, la quota di 30 milioni annui rappresenta un primo passo simbolico, ma da sola non risolve il problema del sotto-organico cronico dei DSM. Sarà cruciale che le Regioni utilizzino al meglio queste risorse mirate, indirizzandole verso le figure più carenti e le aree più scoperte, e che in futuro il finanziamento per il personale di salute mentale cresca ulteriormente.

Un ulteriore elemento da considerare è la complementarità con altre misure assunzionali previste in sanità. La stessa Legge di Bilancio 2026 contiene, all’art. 69, un piano straordinario di assunzioni nel SSN con un fondo di 450 milioni annui nel 2026-2028, finalizzato a ridurre le liste d’attesa e far fronte alla carenza generale di personale sanitario. Resta da chiarire in che misura i servizi di salute mentale potranno accedere a questo piano generale. La presenza di uno stanziamento specifico dedicato (i 30 milioni di cui sopra) potrebbe far sorgere il dubbio che i DSM vengano esclusi o comunque poco prioritari nel riparto dei 450 milioni generali. Se così fosse, la salute mentale rischierebbe di non beneficiare pienamente del piano straordinario, vedendosi “riservata” solo la propria quota dedicata. È auspicabile invece che le Regioni considerino i DSM parte integrante del sistema sanitario da potenziare e li includano anche nelle assunzioni straordinarie extra-PANSM, dato che la carenza di organico nei servizi psichiatrici contribuisce anch’essa alle difficoltà complessive del SSN (si pensi alle attese per visite specialistiche neuropsichiatriche, o alla mancanza di figure chiave nei territori). Un coordinamento a livello centrale su questo punto sarebbe utile per evitare compartimentazioni e garantire che il rafforzamento del personale sanitario sia omnicomprensivo, includendo il settore della salute mentale sia attraverso la quota dedicata sia attraverso le risorse generali.

Fabbisogni di personale e criteri di programmazione regionale

Il successo del PANSM e l’efficacia delle risorse stanziate dipenderanno in larga misura dalla capacità di programmazione regionale dei fabbisogni e degli interventi. Come visto, la norma prevede un monitoraggio specifico per verificare l’integrazione del Piano nelle pianificazioni regionali. Ciò implica che ciascuna Regione dovrà recepire gli obiettivi strategici nazionali nei propri strumenti di programmazione sanitaria (ad esempio nel Piano Sanitario Regionale, nei programmi operativi, nelle deliberazioni di indirizzo alle ASL), indicando come intende utilizzare i fondi del PANSM per potenziare i servizi di salute mentale sul territorio. Un aspetto centrale di questa pianificazione sarà la definizione del fabbisogno di personale sanitario e socio-sanitario nei DSM. Le Regioni, in coordinamento con le proprie aziende sanitarie, dovranno stimare il numero di professionisti aggiuntivi necessari per colmare il gap rispetto agli standard e garantire i nuovi servizi previsti dal Piano.

Fortunatamente, non si parte da zero: esistono già riferimenti normativi e standard di personale per l’assistenza territoriale. In particolare, il D.M. 77/2022 (decreto che ha riformato l’assistenza sanitaria territoriale nell’ambito del PNRR) ha fornito modelli organizzativi e standard per le reti di prossimità, includendo riferimenti ai Centri di Salute Mentale (CSM) e ai servizi di salute mentale nel territorio. Il DM 77 prevede, ad esempio, che in ogni Distretto ci sia almeno un Centro di Salute Mentale attivo 7 giorni su 7 H24 (o con guardia attiva h12 e pronta disponibilità h24), integrato nella Casa della Comunità di riferimento, e dotato di équipe multiprofessionale. Sebbene il DM 77 non quantifichi dettagliatamente il personale necessario, fornisce un modello che – secondo gli esperti – richiede un significativo rafforzamento rispetto agli organici attuali. Già nel 2023 un’analisi condotta dal Prof. Starace (allora Presidente SIEP) stimava che, per raggiungere gli standard minimi aderenti a DM 77 e alle raccomandazioni internazionali (es. destinare almeno il 5% del FSN alla salute mentale), sarebbe stato necessario incrementare di oltre 13 mila unità il personale dei DSM adulti in Italia. Questo comprende medici, infermieri, psicologi e tecnici della riabilitazione addizionali in numero rilevante, con un costo annuo aggiuntivo vicino agli 800 milioni di euro. Il nuovo PANSM conferma l’obiettivo, già più volte sottoscritto in documenti ufficiali, di raggiungere almeno il 5% della spesa sanitaria dedicata alla salute mentale, colmando il divario con altri Paesi europei e con il fabbisogno effettivo dell’utenza.

Alla luce di questi dati, appare evidente che la programmazione regionale dovrà prioritizzare le assunzioni e il rafforzamento delle équipe come condizione abilitante per qualunque ampliamento dell’offerta. Le Regioni saranno chiamate a predisporre Piani del fabbisogno triennali che includano i posti finanziati tramite il PANSM (e possibilmente ulteriori posti attingendo ad altre fonti, come il citato piano straordinario di assunzioni). Sarà importante definire criteri di distribuzione dei nuovi operatori all’interno di ciascuna regione: ad esempio, assegnandoli alle ASL con i rapporti popolazione/operatore peggiori o ai servizi con liste d’attesa più lunghe. Alcuni territori soffrono più di altri la mancanza di figure chiave (si pensi alla carenza di neuropsichiatri infantili in molte regioni del Sud, o alla difficoltà di reperire psicologi e infermieri specializzati in salute mentale nelle aree periferiche). La programmazione dovrà tener conto di queste differenze, per ridurre le disparità territoriali nell’accesso ai servizi di salute mentale – uno degli obiettivi dichiarati del Piano è proprio superare le diversità regionali nella gestione della salute mentale, garantendo un livello essenziale uniforme.

Un altro criterio fondamentale sarà la rispondenza ai nuovi bisogni emergenti. Ad esempio, il PANSM dedica un’intera area alla salute mentale di bambini e adolescenti, riconoscendo il forte incremento di disturbi psicologici in età giovanile (anche a seguito della pandemia). Ciò potrebbe tradursi, nei piani regionali, in un potenziamento dei servizi di Neuropsichiatria Infantile e dell’Adolescenza (NPIA), assumendo più neuropsichiatri, psicologi dell’età evolutiva ed educatori per interventi precoci in scuole e comunità. Analogamente, l’area dedicata alla integrazione socio-sanitaria e quella sul management e sicurezza in salute mentale suggeriscono di investire in figure come assistenti sociali di supporto ai pazienti gravi, case manager per progetti personalizzati (budget di salute), tecnici della riabilitazione psichiatrica per percorsi di inserimento socio-lavorativo, ecc. Le Regioni dovranno quindi identificare il mix professionale ottimale per ciascun DSM, in base alla popolazione servita e ai servizi da attivare secondo il PANSM.

Inoltre, la programmazione regionale dovrà avvenire in coerenza con i vincoli finanziari complessivi e le regole del sistema. Sebbene le assunzioni PANSM siano coperte da finanziamento statale, andranno comunque inserite nelle piante organiche delle aziende sanitarie e rispettare le normative sul personale (tetri di spesa del personale, turnover, etc., salvo deroghe specifiche). Il Governo, con questa misura, autorizza implicitamente uno sforamento mirato dei limiti di spesa per il personale nel settore mentale, fornendo le risorse dedicate. Sarà compito delle amministrazioni regionali utilizzare appieno questa possibilità, garantendo che i fondi non rimangano inutilizzati per ostacoli burocratici o vincoli autoimposti. Ad esempio, dovranno essere tempestive nell’indire concorsi o procedure di reclutamento per coprire i posti finanziati, pena il rischio di perdere le professionalità sul mercato del lavoro o di rallentare l’attuazione del Piano.

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Impatti organizzativi e professionali: pianificazione integrata, formazione e offerta territoriale

L’attuazione di questa misura avrà significativi impatti organizzativi e professionali sul Servizio Sanitario Nazionale e sul sistema di welfare locale. In primo luogo, l’introduzione di una programmazione vincolata nazionale in salute mentale impone un livello di pianificazione integrata mai sperimentato prima in questo settore. “Integrata” in due accezioni: sia verticalmente, tra centro e periferia (Ministero-Regioni-ASL), sia orizzontalmente, tra sanitario e sociale. Il PANSM e il relativo finanziamento, infatti, abbracciano il concetto di integrazione sociosanitaria: riconoscono che per tutelare efficacemente la salute mentale è necessario il coinvolgimento coordinato di più attori e servizi (sanitari, sociali, educativi, del lavoro, della giustizia, ecc.). A livello locale, i Dipartimenti di Salute Mentale dovranno quindi rafforzare le collaborazioni interistituzionali – ad esempio con i servizi sociali dei Comuni, con le istituzioni scolastiche, con i centri per l’impiego, con il volontariato – per sviluppare progetti di comunità capaci di favorire l’inclusione sociale e la riabilitazione psicosociale dei pazienti (abitare assistito, inserimenti lavorativi protetti, gruppi di auto-aiuto, ecc.). La misura in legge di bilancio, destinando risorse specifiche e richiedendo monitoraggi sull’attuazione, spingerà le amministrazioni a formalizzare questi percorsi integrati nei propri piani di azione. Ad esempio, potrebbero essere istituiti tavoli regionali o provinciali per la salute mentale che uniscano ASL, enti locali e terzo settore nell’elaborare progetti finanziati coi fondi PANSM. Dal punto di vista organizzativo interno ai DSM, l’arrivo di nuovi fondi e personale consentirà di riedeguare l’offerta territoriale: sarà possibile attivare più équipe domiciliari per il trattamento assertivo comunitario, ampliare l’orario di apertura dei centri diurni e dei CSM, istituire sportelli di ascolto psicologico diffusi sul territorio (ad esempio presso le Case della Comunità o i consultori), nonché sperimentare modelli innovativi come le équipe di crisis unit mobili o gli interventi di teleassistenza psicologica. Queste iniziative dovranno essere pianificate in modo organico e sostenibile, evitando la frammentazione: l’integrazione dei servizi significa anche costruire percorsi di cura continuativi per l’utente, dal primo contatto (magari in un contesto di cure primarie) fino alla gestione della cronicità, senza soluzioni di continuità tra sanitario e sociale.

Dal punto di vista professionale, le implicazioni sono altrettanto rilevanti. Innanzitutto, l’ingresso di nuove risorse umane richiederà processi di formazione e aggiornamento per garantire che i professionisti – sia quelli già in servizio sia i neo-assunti – abbiano le competenze adatte alle azioni innovative del PANSM. Il Piano individua un’area strategica specifica dedicata a “formazione e ricerca” in salute mentale, riconoscendo che il capitale umano è cruciale per cambiare davvero il modo di operare dei servizi. Ci si aspetta dunque che parte dei finanziamenti (soprattutto quelli riservati alla prevenzione) possano essere utilizzati anche per programmi formativi: ad esempio corsi di aggiornamento sul riconoscimento precoce dei disturbi negli adolescenti, training per gli operatori di base (MMG, pediatri) sulla gestione delle problematiche psicologiche comuni, formazione degli infermieri per interventi di psichiatria di comunità, percorsi di supervisione per gli psicologi clinici, ecc. Inoltre, l’eventuale introduzione della figura dello psicologo di base (oggetto di proposte di legge parallele in Parlamento) richiederà la definizione di percorsi formativi ad hoc e l’integrazione di questi professionisti nell’équipe dei medici di medicina generale, il che rappresenta un’evoluzione organizzativa non banale. Il PANSM promuove anche la ricerca e l’innovazione: ciò significa che ai professionisti sarà richiesto di adottare pratiche basate sull’evidenza e partecipare alla valutazione degli esiti degli interventi (ad es. raccogliendo dati per gli indicatori del Piano, contribuendo a studi pilota, ecc.). Si delinea quindi un approccio manageriale e data-driven nella conduzione dei servizi di salute mentale, dove i dirigenti dei DSM dovranno monitorare costantemente indicatori di performance (esiti clinici, soddisfazione utenti, riduzione ricoveri, etc.) come base per rendicontare l’utilizzo dei fondi vincolati.

Il rafforzamento dell’offerta territoriale sarà il risultato tangibile atteso da questa manovra. Con più personale e più risorse, i DSM potranno migliorare la capacità di presa in carico sul territorio, riducendo il ricorso improprio all’ospedalizzazione e ai servizi di emergenza. Ad esempio, un potenziamento delle équipe domiciliari e ambulatoriali potrebbe diminuire gli accessi ripetuti in pronto soccorso per crisi psichiatriche, fornendo interventi precoci a domicilio o in comunità. Allo stesso modo, investire in prevenzione nelle scuole e nei luoghi di lavoro potrà nel lungo termine mitigare l’impatto socio-economico dei disturbi mentali, favorendo diagnosi tempestive e percorsi di cura più efficaci. Da un punto di vista economico-sanitario, l’allocazione di fondi dedicati alla salute mentale può essere vista anche come un’operazione di equity e value: equity perché mira a colmare uno storico sottofinanziamento di un settore che riguarda popolazioni fragili e spesso marginalizzate; value perché un miglior trattamento e inserimento sociale dei pazienti psichiatrici genera benefici sia sanitari sia socio-economici (meno ricoveri, meno cronicizzazioni invalidanti, più partecipazione alla vita produttiva). Un’adeguata pianificazione integrata potrà quindi tradurre gli investimenti finanziari in miglioramenti organizzativi concreti: linee guida regionali aggiornate, nuovi protocolli operativi condivisi tra DSM e servizi sociali, convenzioni con enti del terzo settore per progetti innovativi, utilizzo di strumenti come il Budget di Salute per interventi personalizzati, ecc.

In conclusione, la disposizione sulla salute mentale nella Legge di Bilancio 2026 rappresenta un intervento di politica sanitaria di natura programmatica, che unisce finanziamento e governance per perseguire un cambio di passo nel settore. Le sfide non mancano: le risorse, sebbene significative rispetto al passato, restano inferiori al fabbisogno stimato; l’attuazione richiederà coordinamento e capacità amministrativa da parte di tutti gli enti coinvolti; il reclutamento di personale qualificato dovrà fare i conti con la disponibilità effettiva di professionisti sul mercato. Tuttavia, le opportunità sono concrete: per la prima volta da molti anni la salute mentale è esplicitamente inserita fra le priorità di finanziamento del sistema sanitario, con fondi dedicati pluriennali. Se le Regioni sapranno cogliere questa occasione pianificando con visione strategica – investendo in prevenzione, assumendo e formando operatori, riorganizzando i servizi verso il territorio e l’integrazione sociosanitaria – il PANSM 2025–2030 potrà contribuire a colmare il gap tra i bisogni crescenti della popolazione e l’offerta di cure, restituendo centralità a un ambito troppe volte trascurato. In definitiva, la misura rappresenta un primo passo verso il rafforzamento strutturale della salute mentale nel SSN, in linea con il principio che “non c’è salute senza salute mentale”, e pone le basi per uno sviluppo futuro che dovrà necessariamente prevedere risorse aggiuntive e un impegno continuativo da parte di tutti gli attori istituzionali coinvolti.

Di: Marco Ginanneschi, commercialista-revisore legale e fondatore di Sercam Advisory

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