Carne rossa processata: +13% rischio demenza con soli 20 g al giorno

Uno studio BMJ segnala un aumento del rischio di demenza anche con minime quantità quotidiane di carne rossa processata. Scopri cosa dicono i dati, quali alimenti alternativi proteggono il cervello e perché la dieta può fare la differenza.

Sommario

  1. Il legame tra carne processata e declino cognitivo
  2. Più carne, più anni di invecchiamento cerebrale
  3. La carne rossa non lavorata non è esente da effetti negativi
  4. Scelte alimentari che proteggono il cervello
  5. I possibili meccanismi biologici
  6. Implicazioni per la salute pubblica

Un nuovo studio BMJ ha evidenziato un possibile collegamento tra il consumo di carne rossa processata e un aumento del rischio di demenza. I ricercatori hanno analizzato i dati di oltre 130.000 adulti statunitensi, monitorati per più di trent’anni, e hanno osservato che anche un consumo quotidiano molto limitato – pari a circa 20 grammi – è associato a un aumento del 13% del rischio di demenza. Si tratta di una quantità modesta, equivalente a due fette sottili di salume, che però sembra avere un impatto significativo sulla salute cerebrale nel lungo periodo.

Il legame tra carne processata e declino cognitivo

Oltre ai casi diagnosticati di demenza, lo studio ha rilevato una correlazione tra il consumo regolare di carne processata e il declino cognitivo soggettivo, ossia la percezione personale di perdita di memoria e difficoltà nella concentrazione. Questa condizione, sebbene non ancora clinicamente definita come demenza, è considerata un potenziale precursore delle patologie neurodegenerative. Nei partecipanti che riferivano un consumo giornaliero di carne processata, il rischio di manifestare questi sintomi soggettivi risultava aumentato del 14%, indicando che i danni cognitivi potrebbero iniziare ben prima dell’effettiva diagnosi medica.

Più carne, più anni di invecchiamento cerebrale

I dati raccolti suggeriscono che l’impatto della carne processata si possa quantificare in termini di “età cognitiva”. Ogni porzione giornaliera in più è stata associata a un declino equivalente a circa 1,6 anni di invecchiamento cerebrale nelle funzioni cognitive generali e a 1,7 anni nella memoria verbale. In altri termini, un’abitudine alimentare apparentemente innocua può, nel tempo, accelerare il deterioramento delle funzioni mentali in modo silenzioso ma costante, influendo sull’autonomia, sulla memoria e sulla qualità della vita.

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La carne rossa non lavorata non è esente da effetti negativi

Lo studio ha analizzato anche il consumo di carne rossa non processata, come bistecche, arrosti e hamburger freschi. Sebbene l’associazione risulti meno marcata rispetto alle carni trasformate, i ricercatori hanno osservato che una porzione o più al giorno di carne rossa fresca è collegata a un aumento del 16% del rischio di sintomi cognitivi soggettivi. Questo dato indica che anche un’eccessiva assunzione di carne rossa in sé può contribuire a un peggioramento delle funzioni mentali, indipendentemente dalla lavorazione industriale.

Scelte alimentari che proteggono il cervello

Una delle sezioni più rilevanti dello studio riguarda la possibilità di ridurre il rischio di demenza attraverso sostituzioni alimentari mirate. I ricercatori hanno stimato che sostituire una porzione quotidiana di carne rossa processata con alternative più salutari, come legumi o frutta secca, può ridurre il rischio di demenza fino al 19%. Se al posto della carne si consumano pesce o pollame, il beneficio è ancora più marcato: il rischio cala del 28%. Si tratta di indicazioni importanti, che suggeriscono come modifiche anche minime nell’alimentazione possano avere effetti protettivi sul cervello.

I possibili meccanismi biologici

Il legame tra carne processata e deterioramento cognitivo potrebbe avere diverse spiegazioni biologiche. Le carni trasformate contengono elevate quantità di sodio, grassi saturi, nitriti e conservanti, tutti elementi associati a processi infiammatori e allo stress ossidativo, entrambi fattori di rischio per le malattie neurodegenerative. Inoltre, il metabolismo della carne rossa porta alla produzione di sostanze come il TMAO (ossido di trimetilammina), già collegate in passato a disturbi cardiovascolari e che potrebbero favorire l’accumulo cerebrale di proteine tossiche, come la beta-amiloide, implicata nell’Alzheimer.

Implicazioni per la salute pubblica

Sebbene lo studio non stabilisca una relazione causale definitiva, i suoi risultati confermano il crescente corpo di prove che collega la dieta al benessere cognitivo. In un contesto di invecchiamento demografico globale e aumento delle diagnosi di demenza, questi dati assumono una rilevanza particolare per le politiche di prevenzione. Ridurre il consumo di carni rosse lavorate e promuovere fonti proteiche più sane potrebbe rappresentare una misura semplice ed efficace per tutelare la salute cerebrale nella popolazione generale.

Di: Viviana Franzellitti, giornalista

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