Il teatro che cura: disturbi alimentari in scena con “Piena come un uovo”

All’Elfo Puccini di Milano, la Compagnia Caterpillar inaugura Hystrio Festival affrontando anoressia, bulimia e binge eating. Un esempio di come l’arte possa diventare veicolo di prevenzione e sensibilizzazione sulla salute mentale.

Sommario

  1. Il teatro come esperienza che rompe i tabù e apre al dialogo
  2. Il mito del corpo perfetto e l’illusione degli oggetti
  3. Dai cambiamenti nelle abitudini all’isolamento: i campanelli d’allarme

Un frigorifero in scena e quattro attrici che danno voce a un universo di cibo, specchi e ossessioni: Piena come un uovo non è soltanto teatro, ma anche un’occasione di riflessione su un tema che riguarda la salute di migliaia di persone, i disturbi del comportamento alimentare. Martedì 16 settembre (ore 19.00) lo spettacolo della Compagnia Caterpillar inaugura a Milano la quarta edizione di Hystrio Festival, al Teatro Elfo Puccini, portando sul palco bulimia, anoressia, binge eating e compulsione verso la magrezza.

Grazie al contributo di Next Regione Lombardia e alla consulenza delle psicologhe di Jonas Monza Brianza e della biologa nutrizionista Alice Parisi, il lavoro teatrale si fa strumento di sensibilizzazione e prevenzione, unendo rigore clinico e creatività scenica. Quattro corpi, quattro storie, quattro modi diversi di inseguire un ideale irraggiungibile: il “peso perfetto”, specchio deformante di un disagio profondo che non riguarda solo chi ne soffre, ma l’intera società.

Nato nel 2016 a New York dalla penna di Lisa Lampanelli e tradotto in Italia da Monica Capuani, il testo approda ora sul palcoscenico con lo sguardo ironico e tagliente di Caterpillar, fondata dai registi Luigi Aquilino ed Eugenio Fea Bosia insieme alle attrici Denise Brambillasca, Gaia Carmagnani, Ilaria Longo e Valentina Sichetti.

Abbiamo parlato con Eugenio Fea Bosia, regista e socio della compagnia, e Daniela Atzeni, psicologa di Jonas Monza Brianza, per capire come arte e scienza possano dialogare per raccontare la fragilità e al tempo stesso la forza di chi lotta con il cibo e con la propria immagine.

Qual è il valore di uno spettacolo teatrale come “Piena come un uovo” nel sensibilizzare il pubblico su un tema delicato e spesso taciuto come i disturbi alimentari? In che modo la rappresentazione artistica, anche ironica, può aiutare a rompere lo stigma che circonda bulimia, anoressia e binge eating?

La rappresentazione artistica ha il potere di veicolare questioni molto delicate, come i disordini alimentari, le dipendenze, il cyberbullismo, ecc. Piena come un uovo mostra come la sofferenza umana può declinarsi in differenti risposte sintomatiche, diverse da soggetto a soggetto, ma sempre presenti nella nostra società, con una diffusione epidemica del sintomo.

Far circolare la parola su queste tematiche è importante proprio per non alimentarne il tabù e permettere a chi soffre di chiedere aiuto ai professionisti del settore.  

Per noi di Compagnia Caterpillar è molto importante guardare al teatro come uno strumento attraverso il quale analizzare il disagio che, molto spesso, ci affligge. Come era già stato per i due spettacoli precedenti che hanno circuitato grazie a NEXT, “Argonauti e Xanax” e “Unprinted”, il nostro obiettivo è quello di immergerci in una problematica e capire come raccontarla attraverso l’ironia, a volte nera, ma sempre volta a cercare una possibile soluzione. Quello che ci coinvolge maggiormente all’interno del gioco teatrale è lo studio delle Relazioni che mettiamo in atto con gli altri e con noi stessi e i disturbi alimentari sono alcuni dei protagonisti di questo trasformarsi delle relazioni.

Pensiamo che il valore di raccontare questo disagio a teatro sia di poterlo analizzare da altri punti di vista e potervi accedere attraverso la porta dell’esperienza, che ti permette di comprenderne meglio le dinamiche. Ci siamo confrontati più volte con il pubblico, diversi di loro hanno anche sofferto in maniera grave di questi disturbi, e abbiamo attivato un laboratorio nelle scuole superiori proprio su queste tematiche e in entrambi i contesti abbiamo potuto sperimentare come il tema centrale non sia il disturbo di per sé, ma una carenza d’amore, d’affetto, di relazione. Per questo ci siamo spinti ad affrontare questo testo, che per altro non era mai andato in scena in Italia, che unisce in maniera ironica e dissacrante un problema così diffuso e ancora tabù

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Il mito del corpo perfetto e l’illusione degli oggetti

La società, i social e i modelli estetici imposti quanto pesano davvero nello sviluppo dei disturbi alimentari, soprattutto tra i più giovani?

Da un punto di vista socio-culturale possiamo dire che la società contemporanea evidenzia due miti esaltati nella maggior parte dei casi dall’industria della moda e dall’utilizzo massiccio dei social: il mito dell’immagine di un corpo perfetto e il mito dell’oggetto. Vale a dire perseguire un ideale di bellezza estetico irraggiungibile e affidarsi ad oggetti di largo consumo per riempire quella mancanza esistenziale sempre presente nell’essere umano per struttura; ma questi due miti legati ad una soluzione utopica, effimera della sofferenza umana non sono le uniche cause della diffusione epidemica dei disturbi alimentari, soprattutto tra i giovani. Dobbiamo considerare anche l’aspetto clinico. Il disturbo alimentare non è una struttura psichica, bensì è il fenomeno sintomatico che si impone come un riconoscimento identificatorio.

Massimo Recalcati, fondatore della nostra associazione Jonas Italia, parla di malattia dell’amore per definire il rapporto particolare dei soggetti anoressico-bulimici con il cibo. Il rifiuto del cibo o l’abbuffata incontenibile sono una sorta di SOS da parte del soggetto che in maniera sintomatica domanda altro rispetto al cibo, chiede un segno d’amore, un segno di riconoscimento come soggetto e non come un oggetto da riempire. Il prendersi cura di un essere umano non ha a che fare solo con il rispondere ai suoi bisogni primari, ma deve testimoniare anche altro, l’amore, l’affetto, la fiducia. In questo senso hanno notevole importanza, nelle storie delle pazienti, i rapporti con le figure genitoriali, inevitabilmente coinvolte nelle dinamiche sintomatiche. 

Dai cambiamenti nelle abitudini all’isolamento: i campanelli d’allarme

Quali segnali precoci possono indicare un rapporto problematico con il cibo, e come familiari e amici possono accorgersene senza scivolare nel giudizio?

I segnali che possono suscitare una preoccupazione familiare possono essere molteplici e sono sempre inerenti ad un drastico cambiamento di abitudini alimentari, comportamentali e relazionali. Si può evidenziare una caratteristica comune nel continuo isolamento, sottrazione dalle relazioni, cambiamento considerevole nel rapporto con l’oggetto cibo che va ad invalidare la quotidianità del soggetto, cambiamento dell’aspetto corporeo. Si deve essere cauti nel non fraintendere i cambiamenti fisiologici dovuti a nuovi interessi, ambienti e relazioni legati alla fase adolescenziale, con quelli dovuti ad un eventuale disturbo alimentare.

Di: Arnaldo Iodice, giornalista

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