Milano: il caldo di ottobre peggiora l’inquinamento, ma siamo già tra i peggiori in Europa

L’insolito caldo di settembre e ottobre ha contribuito a rendere l’aria di Milano (ancora) più irrespirabile. Ma l’ultima analisi sui dati degli ultimi 5 anni mostra una situazione di stallo, se non in peggioramento in tutta la Pianura Padana, confermandola la zona più inquinata d’Europa 

13 Ottobre 2023, 07:46

Milano: il caldo di ottobre peggiora l’inquinamento, ma siamo già tra i peggiori in Europa

Il caldo di questi giorni continua a far parlare di inquinamento atmosferico in Italia. Il 2023 si prevede sarà “l’anno più caldo di sempre”, con l’Europa che farà “peggio della media”. L’alta pressione che ha interessato il Paese ha infatti peggiorato le concentrazioni di inquinanti nell’aria, in particolare in Pianura Padana, con città come Milano e Torino a fare, ancora una volta, da aprifila. 

L’11 ottobre è stato il primo giorno, di questo mese, in cui nel capoluogo lombardo si è superato il limite di concentrazioni di polveri sottili consentite secondo la normativa vigente. Nella giornata di mercoledì la media di PM10 calcolata in viale Marche dalle centraline dell’Arpa è stata di 68 µg/m³, contro la soglia limite stabilita di 50 µg/m³ (per un massimo di 35 giorni), e i 45 microgrammi suggeriti dall’OMS (per il 99%). Non va meglio nelle altre zone della città: all’ombra della Madonnina la concentrazione di polveri sottili è stata di 58.4 µg/m³, 64 in Città Studi, 63 µg/m³ in via Senato, 52 al Verziere. Altrettanto preoccupante la situazione fotografata all’esterno della città: 67 µg/m³ registrati a Limito di Pioltello, 70 a Cassano d’Adda, 52 a Magenta, mentre a Turbigo, l’unico sotto la soglia, le centraline hanno rilevato 31 microgrammi per metro cubo. 

Sebbene le temperature siano destinate a scendere secondo le previsioni degli esperti, la qualità dell’aria a Milano e nel resto della Pianura Padana, si conferma tra le peggiori a livello europeo. Stando ad un’ampia ricerca condotta da 7 redazioni dello European data journalism network (Edjnet), sotto la direzione di Deutsche Welle, il 73% della popolazione italiana vive in zone con concentrazioni di PM2.5 superiori ai limiti indicati dall’OMS, con la Pianura Padana che si aggiudica il record negativo come zona più inquinata d’Europa. 

Milano e la Pianura Padana nel panorama europeo

Stando a quanto emerge dal report basato sui dati satellitari del servizio di monitoraggio atmosferico Copernicus, l’Italia rimane uno dei pochi Stati membri in cui la concentrazione di PM2.5 non è ancora calata rispetto al 2018. Secondo il report, sono state 58 le città italiane dove la concentrazione di polveri sottili ha superato i limiti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, in alcuni casi addirittura raddoppiandoli. 

A preoccupare particolarmente, anche la frequenza degli sforamenti. Ancora una volta è Milano ad indossare la “maglia nera” posizionandosi nella top ten della città che sforano più i limiti di qualità dell’aria. Tra il 2018 e agosto 2023 il capoluogo lombardo ha superato con più frequenza le soglie di rischio. Su un totale di 295 settimane monitorate il limite massimo indicato dall’Oms è stato superato nel 93,2% delle settimane, mentre nel 38% delle settimane prese in esame sono stati superati addirittura i 25 microgrammi. 

 

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Inquinamento al Nord: caratteristiche topografiche e attività umane

La critica situazione della Pianura Padana è legata alla particolare configurazione morfologica del territorio, insieme all’intensa attività agricola e industriale. Le catene delle Alpi, dell’Appennino settentrionale e il mare Adriatico che circondano il bacino, portano infatti a condizioni atmosferiche di elevata stabilità, con scarsa circolazione dei venti e formazione di nebbie persistenti. Con estati molto calde, il clima della Pianura Padana è inoltre caratterizzato da ondate di calore che spesso si susseguono per più settimane, durante le quali è quasi impossibile un ricambio dell’aria. 

A pesare sugli elevati tassi di inquinamento nella zona sono però principalmente, in linea con il resto dell’Europa, il traffico motorizzato, l’agricoltura, l’uso di combustibili fossili per la produzione di energia, le attività produttive e il riscaldamento privato. Non a caso, la Pianura Padana è una delle regioni industriali più importanti d’Europa; attività che però rilasciano una vasta gamma di inquinanti atmosferici, tra cui ossidi di azoto (NOx), particolato fine (PM2.5), e composti organici volatili (COV).
 

Inquinamento: si migliora ma non abbastanza

In generale, negli ultimi anni la qualità dell’aria in Europa è migliorata, anche se solo modestamente. Quattro paesi membri dell’UE hanno registrato un aumento dei livelli di PM2.5 tra il 2018 e il 2022: Irlanda, Portogallo, Spagna e Svezia, mentre Finlandia e Italia si sono mantenute pressoché stabili. Gli altri 21 paesi hanno invece visto un miglioramento, con particolari progressi in Repubblica Ceca e Polonia. 

Andando più nello specifico, per quanto riguarda l’Italia, il Sole24Ore (parte del network Edjnet) fa sapere che nei 5 anni analizzati lo smog è risultato in crescita in 30 delle 58 città considerate inquinate oltre i livelli di PM2.5 definiti dall’OMS. Sebbene l’analisi del trend storico mostri una riduzione delle polveri sottili a Cremona e Milano, rispettivamente con un -9% e -5%, tra gennaio e agosto 2023, queste città, insieme a Monza e Brianza, Mantova e Padova, hanno registrato i più alti livelli di inquinamento da PM2.5 a livello comunitario. 

Aumenta l’“ecoansia”

Di fronte a questo allarmante scenario è difficile, se non impossibile, restare indifferenti. Non sorprenderà infatti sapere che sta aumentando in modo significativo la consapevolezza tra la popolazione sull’importanza di agire con misure e azioni più incisive per combattere l’inquinamento. 

Questa presa di coscienza, soprattutto tra coloro che hanno sperimentato direttamente disastri ecologici, gli effetti dei cambiamenti climatici e vivono in aree particolarmente inquinante, sta portando a sviluppare la cosiddetta “ecoansia”, o ansia climatica. Una sofferenza e un disagio che, avvertono gli esperti della salute mentale, non deve essere sottovalutato, tanto che alcuni studi già parlano di eco-depressione ed eco-rabbia, mentre altri ribadiscono il forte legame tra i danni causati dai cambiamenti climatici e l’incidenza dei problemi di salute mentale nella popolazione di tutto il mondo. Sono infatti molteplici gli studi che confermano come le comunità più esposte ai disastri ambientali corrono  un rischio mediamente più alto di sviluppare forme di depressione, disturbo post-traumatico da stress e disturbo d’ansia.