Ottenere copia della cartella clinica è un diritto del paziente: il caso

La Corte di Giustizia Europea si è espressa sul diritto di un paziente a ricevere copia gratuita della cartella clinica. Cosa è successo?

Sommario
  1. L’orientamento della Corte di Giustizia Europea
  2. La norma in questione
  3. La decisione della Corte
  4. Le conclusioni finali

Ancora troppo spesso si registrano richieste provenienti dal mondo medico professionale che, ricevuta dal paziente un’istanza di accesso alla cartella relativa ai trattamenti sanitari effettuati durante il periodo di cura, chiedono lumi circa l’obbligatorietà di tenuta di questa documentazione e, soprattutto, di consegna della copia integrale all’interessato, con annessi esami ed approfondimenti diagnostici eventualmente eseguiti, ovvero di una sintesi eventualmente predisposta.

Non c’è dubbio che, prima ancora che un obbligo, la tenuta della cartella sanitaria sia da considerarsi assolutamente imprescindibile, non soltanto per la corretta attività di qualsiasi medico che abbia in cura un paziente, ma anche per una migliore tutela dei propri interessi dal momento che, diversamente, il passare del tempo potrebbe rendere oltremodo offuscato il ricordo di quanto concretamente avvenuto pregiudicando, talvolta in modo definitivo, la strutturazione di un’adeguata difesa a fronte di possibili censure di malpratice sanitaria.

L’orientamento della Corte di Giustizia Europea

Lo scorso 26 ottobre la Prima Sezione della Corte di Giustizia Europea si è pronunciata su un’interessante questione che ha riguardato proprio il diritto del paziente di ottenere dal suo medico di fiducia copia della cartella clinica.

Seppur relativa ad altro ordinamento, quello tedesco nel caso specifico, la decisione in commento fornisce spunti di stringente attualità anche per il mondo dei professionisti sanitari italiani.

Il fatto da cui ha avuto origine la richiesta riguardava il cliente di un dentista che, dopo aver preteso di trarre copia della propria cartella clinica allo scopo di formulare, nei suoi confronti, una richiesta risarcitoria da malpratice, si era visto condizionare il rilascio del documento al preventivo pagamento, così come previsto dall’ordinamento tedesco, dei costi necessari per ottenerne la copia.

Apertosi il contezioso fra medico e paziente, il giudice teutonico rimetteva la questione alla Corte di Giustizia Europea ritenendo che, per giungere alla soluzione della questione sottoposta al suo giudizio, fosse dirimente una corretta interpretazione del regolamento dell’Unione sulla protezione dei dati personali (2016/679 RGPD, ossia il cd. “GDPR” secondo la traduzione italiana).

Per quanto di interesse rispetto al diritto del paziente a ricevere dal medico copia integrale della cartella clinica relativa al suo caso, occorre soffermarsi sulla terza questione proposta dal giudice di rinvio, allorché veniva richiesto alla Corte Europea di stabilire se l’articolo 15, paragrafo 3, prima frase, del RGPD dovesse interpretarsi nel senso per cui, nel rapporto medico/paziente, quest’ultimo avrebbe sempre diritto a vedersi consegnata copia integrale dei documenti contenuti nella sua cartella medica, e che contengono i suoi dati personali, ovvero soltanto una copia di questi dati.

La norma in questione

Come dinanzi riferito, la questione che ci occupa si incentra sull’interpretazione di uno specifico articolo del RGPD, ossia quello contrassegnato dal n. 15 che così dispone:

“1. L’interessato ha il diritto di ottenere dal titolare del trattamento la conferma che sia o meno in corso un trattamento di dati personali che lo riguardano e in tal caso, di ottenere l’accesso ai dati personali e alle seguenti informazioni:

a) le finalità del trattamento,

b) le categorie di dati personali in questione;

c) i destinatari o le categorie di destinatari a cui i dati personali sono stati o saranno comunicati, in particolare se destinatari di paesi terzi o organizzazioni internazionali;

d) quando possibile, il periodo di conservazione dei dati personali previsto oppure, se non è possibile, i criteri utilizzati per determinare tale periodo;

e) l’esistenza del diritto dell’interessato di chiedere al titolare del trattamento la rettifica o la cancellazione dei dati personali o la limitazione del trattamento dei dati personali che lo riguardano o di opporsi al loro trattamento;

f) il diritto di proporre reclamo a un’autorità di controllo;

g) qualora i dati non siano raccolti presso l’interessato, tutte le informazioni disponibili sulla loro origine;

h) l’esistenza di un processo decisionale automatizzato, compresa la profilazione di cui all’articolo 22, paragrafi 1 e 4, e, almeno in tali casi, informazioni significative sulla logica utilizzata, nonché l’importanza e le conseguenze previste di tale trattamento per l’interessato.

2. Qualora i dati personali siano trasferiti a un paese terzo o a un’organizzazione internazionale, l’interessato ha il diritto di essere informato dell’esistenza di garanzie adeguate ai sensi dell’articolo 46 relative al trasferimento.

3. Il titolare del trattamento fornisce una copia dei dati personali oggetto di trattamento. In caso di ulteriori copie richieste dall’interessato, il titolare del trattamento può addebitare un contributo spese ragionevole basato sui costi amministrativi. Se l’interessato presenta la richiesta mediante mezzi elettronici, e salvo indicazione diversa dell’interessato, le informazioni sono fornite in un formato elettronico di uso comune.

4. Il diritto di ottenere una copia di cui al paragrafo 3 non deve ledere i diritti e le libertà altrui”.

La decisione della Corte

Riprendendo il testo della richiamata disposizione comunitaria, la Corte ha ribadito che, con questa, il RGPD ha inteso chiaramente attribuire al paziente il diritto di ricevere una “riproduzione fedele dei suoi dati personali, intesi in senso ampio, che siano oggetto di operazioni qualificabili come «trattamento» effettuato dal titolare di tale trattamento”.

Pertanto, la copia della cartella medica deve contenere tutti i dati personali oggetto di trattamento, non potendosi consentire un’interpretazione riduttiva che, di fatto, porterebbe a comprimere ingiustificatamente la facoltà, riconosciuta dallo stesso RGPD, di esercitare nel modo più ampio possibile tutti i suoi diritti riguardo alla liceità del trattamento eseguito dal professionista.

Questo comporta – secondo la Corte – che proprio il diritto del paziente a ricevere dal titolare del trattamento una copia dei dati personali oggetto di trattamento implica che gli sia consegnata una riproduzione fedele e intelligibile dell’insieme di questi dati.

Detto diritto presuppone altresì quello di “acquisire copia di estratti di documenti o addirittura di documenti interi o, ancora, di estratti di banche dati contenenti, tra l’altro, tali dati, se la fornitura di una siffatta copia è indispensabile per consentire all’interessato di esercitare effettivamente i diritti conferitigli da tale regolamento”.

Nel motivare il suo ragionamento, si è quindi rievocato il contenuto del considerando 63 del RGPD secondo cui: “Un interessato dovrebbe avere il diritto di accedere ai dati personali raccolti che lo riguardano e di esercitare tale diritto facilmente e a intervalli ragionevoli, per essere consapevole del trattamento e verificarne la liceità. Ciò include il diritto di accedere ai dati relativi alla salute, ad esempio le cartelle mediche contenenti informazioni quali diagnosi, risultati di esami, pareri di medici curanti o eventuali terapie o interventi praticati (…)”.

Calando questi chiari principi sullo specifico aspetto della cartella clinica, la Corte ha quindi osservato che, con riferimento ai dati inerenti le condizioni di salute dell’interessato, “il considerando 63 di tale regolamento specifica che il diritto di accesso degli interessati include « cartelle mediche contenenti informazioni quali diagnosi, risultati di esami, pareri di medici curanti o eventuali terapie o interventi praticati”.

L’accesso a questi dati deve quindi avvenire non soltanto nel modo più completo possibile, ma anche in maniera tale da rendere ogni aspetto pienamente comprensibile per il paziente per cui – come si legge in motivazione – “i risultati di esami, pareri di medici curanti e terapie o interventi praticati ad un paziente, che comprendono, in generale, numerosi dati tecnici, o addirittura immagini, la fornitura di una semplice sintesi o di una compilazione di tali dati da parte del medico, al fine di presentarli in forma sintetica, potrebbe creare il rischio che taluni dati pertinenti siano omessi o riprodotti in modo inesatto o, in ogni caso, che la verifica della loro esattezza e della loro completezza nonché la loro comprensione da parte del paziente ne siano rese più difficili”.

Le conclusioni finali

In conclusione, la sentenza in commento giunge quindi ad affermare che l’articolo 15, paragrafo 3, prima frase, del RGPD deve essere interpretato nel senso che il paziente ha diritto di ricevere dal medico, presso il quale è in cura, una “riproduzione fedele e intelligibile” di tutti i dati che riguardano i trattamenti e le cure praticate, ivi inclusi tutti i documenti contenuti nella cartella clinica, affinché sia possibile per l’interessato verificarne l’esattezza, la completezza e la conseguente intelligibilità.

Nello specifico, dovrà essere dunque garantito al paziente di ricevere copia di tutti i dati contenuti nella sua cartella clinica, che consentano di comprendere, in maniera chiara ed intellegibile, la diagnosi effettuata, i risultati degli esami praticati, i pareri dei medici curanti e le eventuali terapie o interventi praticati durante tutto il tempo della cura.

Di: Redazione Consulcesi Club

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