Colonscopia fatale: Cassazione conferma responsabilità del chirurgo

Lo specialista, prima di eseguire un esame diagnostico invasivo, deve procedere all’inquadramento anamnestico e clinico del paziente valutando l’adeguatezza dell’esame richiesto rispetto alle patologie, alle condizioni fisiche e alla sintomatologia lamentata.

Sommario

  1. Cosa è successo?
  2. La normativa violata
  3. Perforazione durante colonscopia: Cassazione conferma responsabilità chirurgo per mancata valutazione del paziente

La signora A., paziente di 90 anni con comorbilità (cardiopatia ischemico ipertensiva, patologia che la sentenza impugnata ricorda essere richiamata nell'esame dell'odierno ricorrente a pag. 8 del suo esame, portatrice di pacemaker, epatopatia cronica HCV correlata), si reca in uno studio gastro-enterologico perché tormentata da un dolore continuo all’emiaddome destro: il chirurgo, dottor B., nonostante non vi siano delle alterazioni cliniche significative (calo di peso, anemia ferropriva, modificazioni dell’alvo, sanguinamenti gastroenterici), decide comunque di sottoporre l’anziana paziente a una colonscopia diagnostica, senza una preventiva adeguata preparazione intestinale della donna.

Cosa è successo?

Durante l'indagine endoscopica il dottor B. rileva subito una scadente toilette intestinale, dovuta alla presenza di materiale fecale; tuttavia, anziché interrompere l’esame, decide di proseguire. Terminato l’esame, l’anziana donna inizia ad avvertire dei dolori addominali persistenti, e attraverso una radiografia addominale viene accertata una perforazione intestinale: la donna viene trasportata d’urgenza in pronto soccorso, dove decede in tarda serata a causa di shock emodinamico e arresto cardiaco.

La normativa violata

La responsabilità penale del medico è disciplinata dal combinato dagli articoli 589, 590 e 590 sexies del codice penale: se, nell'esercizio della professione sanitaria, il medico cagiona la morte o delle lesioni al paziente, rischia una pena che va da un minimo di tre anni (pena minima per le lesioni) a cinque anni di reclusione (pena massima prevista per l'omicidio colposo, salvo particolari circostanze in cui la pena può aumentare fino a dieci anni).

L'art. 590 sexies del codice penale, introdotto dalla legge Gelli Bianco, prevede una particolare causa di giustificazione per il professionista sanitario: difatti, qualora la morte o le lesioni del paziente si siano verificati a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto.

Venendo al caso in esame, le linee guida in materia di colonscopia sconsigliano la colonscopia in soggetti di sesso femminile, età avanzata e comorbilità, in quanto si tratta di un esame altamente invasivo che presenta un alto rischio di perforazione della parete intestinale.

Il medico chirurgo specialista, perciò, prima di eseguire con tale esame deve inquadrare l’anamnesi clinica del paziente in maniera adeguata, valutando l’indicazione dell’esame prescritto dal medico di medicina generale o da altro specialista.

Uno specialista, difatti, deve necessariamente procedere prima di eseguire l'indagine endoscopica sia all'inquadramento anamnestico e clinico per la corretta esecuzione della indagine valutando l'adeguatezza dell'esame richiesto rispetto alle patologie sospettate, la sintomatologia lamentata e gli esiti di eventuali esami che hanno preceduto quello richiesto.

Ciò in quanto l’endoscopista non è un mero esecutore di prescrizioni altrui, ma è un medico chirurgo, con autonomia decisionale tale da essere in grado di scegliere se eseguire quel determinato esame invasivo o ripiegare su altri metodi, più dolci, adatti al paziente specifico.

Ciascun sanitario non può esimersi dal conoscere e valutare l'attività precedente o contestuale svolta da altro collega, sia pure specialista in altra disciplina, e dal controllarne la correttezza, se del caso ponendo rimedio o facendo in modo che si ponga opportunamente rimedio ad errori altrui che siano evidenti e non settoriali e, come tali, rilevabili ed emendabili con l'ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista medio (così Cass. Sez. 4, n. 18548 del 24/01/2005).

L'obbligo di diligenza che grava su ciascun sanitario, infatti, concerne non solo le specifiche mansioni a lui affidate, ma anche il controllo sull'operato e sugli errori altrui che siano evidenti e non settoriali, in quanto tali rilevabili con l'ausilio delle comuni conoscenze del professionista medio (Cass. Sez. 4, n. 53315 del 18/10/2016).

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Perforazione durante colonscopia: Cassazione conferma responsabilità chirurgo per mancata valutazione del paziente

Dall’esame autoptico sulla povera signora A. emerge a carico della parete del sigma in prossimità del segmento rettale una soluzione di continuo della parete intestinale della lunghezza pari a circa 3,5 centimetri, collocata a circa 11 centimetri rispetto allo sfintere anale esterno. 

Il quadro patologico acuto riscontrato all'apertura della cavità addominale era caratterizzato da un marcato versamento peritoneale e da visceri laccati da materia fecaloide, coinvolgente le sierose peritoneali. 

Tali osservazioni medico-legali venivano confermate da ulteriori accertamenti svolti dal gastroenterologo, che confermava che le perforazioni di visceri cavi ad alto contenuto batterico possono provocare una peritonite gravissima per la rapida diffusione dello spandimento del contenuto viscerale settico; tali evenienze sono originate o da perforazioni iatrogena o spontanee del colon. L'evoluzione della peritonite può essere acuta e, come avvenuto, tale da condurre rapidamente alla morte. 

I consulenti della procura, alla luce di quanto sopra, individuavano la causa della morte della signora A. in un’insufficienza multiorgano quale evento terminale di uno schock settico, in conseguenza della perforazione sigmoidea iatrogena occorsa nelle fasi della colonscopia svolta dal dott. B., responsabile dell’avvio della peritonite stercoracea diffusa in un soggetto grande anziano come la signora A., novantenne affetta da quadro di comorbilità pluripatologica (cardiomiopatia, osteoporosi, diatesi autoimmune epatopatia). 

Il chirurgo endoscopico si difende dicendo che la donna gli era stata inviata con prescrizione di eseguire una colonscopia da parte del MMG, ritenendo che non fosse suo compito valutare opzioni diagnostiche alternative, avendo già effettuato tale valutazione il medico di medicina generale che l’aveva in cura. 

Tre gradi di giudizio affermano perciò la responsabilità del dottor B, ed in particolare la Cassazione (sentenza n. 30051/2022) detta il principio in virtù del quale in tema di colpa medica, lo specialista chiamato ad effettuare un esame diagnostico invasivo, prescritto dal medico di medicina generale, che comporti un ineliminabile quoziente di rischio per il paziente, deve preliminarmente procedere all'inquadramento anamnestico e clinico del paziente ed alla valutazione dell'adeguatezza dell'esame richiesto rispetto alle patologie sospettate, alle condizioni fisiche ed alla sintomatologia lamentata, nonché agli esiti di eventuali esami già svolti. 

 

Di: Manuela Calautti, avvocato

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