Mancata contestazione della terapia sul paziente al collega: c'è responsabilità medica?

Il chirurgo, la peritonite e la mancata contestazione della terapia nei confronti del primario che ha operato il paziente: c’è responsabilità medica? 

Sommario

  1. Il caso clinico
  2. Le norme sulla responsabilità medica e il principio di affidamento in équipe
  3. Le decisioni dei giudici: dalla condanna alla Cassazione e il ruolo del dissenso del chirurgo

Il sig. A., che già vent’anni prima ha subito un intervento di gastroresezione , si reca presso l’ospedale cittadino per sottoporsi a un intervento di laparoscopia programmato per la riduzione di un'ernia postchirurgica addominale. L’intervento viene eseguito dal dottor C., che riscontra nel corso dell’esecuzione delle aderenze di anse intestinali alla parete addominale, tali da rendere necessario il posizionamento di una Mesh (rete) ancorata in PTFE con spiralette in titanio.

Il caso clinico

Nei cinque giorni successivi all'intervento, come risulta dal diario clinico del ricovero in Chirurgia Generale, il decorso post operatorio del paziente risulta regolare, con l’unica pecca del valore del potassio, molto basso; ciononostante, dopo cinque giorni dall’intervento il paziente viene dimesso con visita programmata dopo tre giorni.

Tuttavia, la sera delle dimissioni il paziente, in preda a forti dolori addominali e dispnea, viene nuovamente ricoverato presso il reparto di chirurgia generale, con i seguenti sintomi:

-Addome di forma globosa, trattabile, aperto a feci e gas,

-Dispnea a riposo,

-Polso aritmico,

-pressione di 90/50.

Data la gravità delle condizioni il paziente viene trasferito dal reparto di Chirurgia all’unità di terapia intensiva cardiologica dove il giorno successivo viene sottoposto ad angio-tac, da cui emerge un versamento liquido con raccolta saccata nel mesentere, per cui si rende necessaria la consulenza specialistica dei medici di chirurgia generale che lo avevano sottoposto all’operazione.

Dopo ulteriori esami, il giorno seguente il signor A. presenta un calo di Antitrombina III con necessità immediata di praticargli una trasfusione di plasma; dalla consulenza chirurgica eseguita il pomeriggio dal dottor A. emerge la presenza di sieroma e di versamento tra epiploon e rete intraperitoneale. In atto indicato trattamento conservativo.

Nei giorni a seguire il paziente si presenta come dispnoico, con temperatura corpora alterata e marcata ipopotassiemia, tanto da rendere necessario l’incremento delle infusioni di potassio.

In seguito, dopo alcuni giorni, il paziente viene trasferito di nuovo in Chirurgia generale ove giungeva di fatto la sera in orario successivo alla visita praticatagli dal Dott. A., che aveva annotato nel diario clinico che l'esplorazione rettale aveva evidenziato residui fecali nell'ampolla, che era stata posizionata sonda rettale con modesta fuoriuscita di aria e che era stato applicato alla paziente un sondino nasogastrico concludendo per la prescrizione di RX torace e RX diretta addome.

Nella cartella clinica, quale diagnosi di entrata in chirurgia viene indicata "peritonite localizzata da fissurazione di anse del tenue in paziente operata di laparocele" ed alle ore 23 nel diario clinico è annotato "RX diretta addome di controllo per domattina".

Nei giorni successivi le annotazioni riportate nel diario clinico evidenziano un miglioramento delle condizioni, tant’è che il paziente dopo l’esecuzione di una TAC viene sottoposto prima a una puntura esplorativa, successivamente all’aspirazione ecoguidata della raccolta ed infine a un intervento chirurgico di rimozione della Mesh.

Dopo quest’ultimo intervento, tuttavia, le condizioni del signor A. si aggravano e il paziente, che si trova in un grave stato settico con insufficienza multi organo, decede dopo pochi giorni.

Le norme sulla responsabilità medica e il principio di affidamento in équipe

La responsabilità penale del medico è disciplinata dal combinato dagli articoli 589, 590 e 590 sexies del codice penale: se, nell'esercizio della professione sanitaria, il medico cagiona la morte o delle lesioni al paziente, rischia una pena che va da un minimo di tre anni (pena minima per le lesioni) a cinque anni di reclusione (pena massima prevista per l'omicidio colposo, salvo particolari circostanze in cui la pena può aumentare fino a dieci anni).

L'art. 590 sexies del codice penale, introdotto dalla legge Gelli Bianco, prevede una particolare causa di giustificazione per il professionista sanitario: difatti, qualora la morte o le lesioni del paziente si siano verificati a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto.

Nel caso in esame, dalla perizia eseguita in fase di indagine e acquisita agli atti emerge che una condotta alternativa dei dottori C. e D., i quali hanno colposamente atteso per risolvere chirurgicamente la complicanza verificatasi in seguito al primo intervento chirurgico, avrebbe consentito con elevato grado di probabilità, prossimo alla certezza tecnica, di contrastare la peritonite in atto nel paziente signor A. (causa della morte), rimuovendo chirurgicamente le cause della stessa.

Tale condotta avrebbe, di fatto, salvato il paziente.

Considerato che il signor A. è stato sottoposto alle cure di più chirurghi – il dottor C. e il dottor A. – bisogna ricordare la figura della responsabilità d’equipe, cui può assimilarsi anche l’ipotesi in cui più medici, in successione, si occupino dello stesso paziente, come nel caso in esame.

Quando si parla di responsabilità d’equipe vige il principio di affidamento, in virtù del quale il titolare di una posizione di garanzia, tenuto giuridicamente a impedire il verificarsi di un evento dannoso, può andare esente da responsabilità quando questo possa ricondursi alla condotta esclusiva di altri, contitolari di altrettanta posizione di garanzia, sul cui corretto operato il primo medico abbia fatto legittimo affidamento.

L'obbligo di diligenza che grava su ciascun componente dell'equipe medica concerne non solo le specifiche mansioni a lui affidate, ma anche il controllo sull'operato e sugli errori altrui che siano evidenti e non settoriali (cfr. sez. 4, n. 53315 del 18/10/2016).

Nel particolare ambito dell’attività medica in cui si trovino ad operare più soggetti, ai fini della determinazione della loro responsabilità penale assume rilievo anche il dissenso manifestato da uno dei soggetti coinvolti nella vicenda.

È escluso, ad esempio, che possa andare esente da responsabilità il chirurgo che si sia fidato acriticamente della scelta del collega più anziano, pur essendo in possesso delle cognizioni tecniche per coglierne l'erroneità, ed avendo pertanto il dovere di valutarla e, se del caso, contrastarla. (Cassazione Sez. 4, n. 7667 del 13.12.2017).

Non va esente da responsabilità nemmeno il chirurgo che si sia fidato acriticamente della scelta del collega più anziano, pur essendo in possesso delle cognizioni tecniche per coglierne l'erroneità, ed avendo pertanto il dovere di valutarla e, se del caso, contrastarla: in questo caso la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità dell'aiuto chirurgo, componente dell'equipe medica che aveva provveduto all'esecuzione di un parto cesareo nel corso del quale si erano manifestate evidenti situazioni critiche interne, per non avere dissentito dall'operato del primario e non averlo indirizzato alla immediata isterectomia, che avrebbe impedito il verificarsi della successiva emorragia, causa della morte della partoriente (Cass. Sez. 4, n. 39727 del 12/06/2019).

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Le decisioni dei giudici: dalla condanna alla Cassazione e il ruolo del dissenso del chirurgo

I giudici di primo grado condannano i chirurgi dott. C. e dott. A., ritenendo la loro condotta come negligente in quanto gli stessi avevano interpretato gli esiti della Angio-Tac come indicativi di una raccolta saccata anziché come indici di una perforazione di visceri intestinali, andando così a far scemare fortemente le chances di sopravvivenza del signor A., che infatti è poi deceduto.

Il giudice d’appello, invece, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti del dott. A. (intervenuto per secondo sul paziente) in quanto il reato ascritto si era estinto per intervenuta prescrizione, ritenendo colpevole solo il dottor C. per l’omessa corretta diagnosi di peritonite, che secondo la perizia poteva già essere formulata all’esito della prima TAC eseguita sul paziente: se il dottor C. avesse capito che il signor A. era affetto da peritonite, avrebbe messo in atto l’intervento chirurgico adatto – che è invece stato eseguito con netto ritardo – e il paziente non sarebbe deceduto.

La richiesta di risarcimento del danno in favore dei superstiti del paziente viene accolta solo per quanto riguarda la condotta del dottor C., mentre il dottor A. rimane “immune” da ogni conseguenza risarcitoria del danno da reato.

Tuttavia, la Cassazione annulla con rinvio la sentenza, ritenendo che il dottor A., sia pure intervenuto solo successivamente al primo intervento, per il consulto in Unità coronarica, quale dirigente medico avente pari posizione rispetto a quella del dottor C., avrebbe dovuto manifestare in maniera espressa il suo dissenso rispetto alle scelte terapeutiche che aveva effettuato il collega chirurgo dottor C., rivolgendo a lui tali perplessità in maniera diretta al fine di modificare la terapia o comunque compiere ulteriori indagini sul paziente.

È vero che il dottor A. è stato il primo (e unico) a prescrivere la TAC al paziente, tenendo perciò una condotta comunque proattiva nei suoi confronti, ma lo avrebbe dovuto fare molto prima e avrebbe soprattutto dovuto manifestare le proprie perplessità su diagnosi e terapie sin dalla consulenza in cardiologia (unità coronarica): se così fosse stato, il paziente avrebbe avuto molte più chance di sopravvivere.

Il danno da reato, perciò, secondo il ribaltamento della Cassazione dovrà essere risarcito, dopo un apposito giudizio civile per la quantificazione, da entrambi i chirurghi.

Di: Manuela Calautti, avvocato

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