Bambino nato morto per mancato monitoraggio dei tracciati: chi ne risponde?

Esaminiamo un caso di responsabilità dell’ostetrica e del ginecologo per morte di un feto, per omesso controllo costante e continuo nonostante i fattori di rischio presentati dalla madre al momento del ricovero.

Sommario

  1. Il caso: responsabilità dell’ostetrica e del ginecologo per morte del feto
  2. Quadro normativo e linee guida applicabili
  3. Implicazioni per la pratica clinica

La signora A, donna di 45 anni al primo parto, presenta all’accesso in ospedale sintomi tra cui l’ipertensione e il liquido amniotico scarso; la paziente viene ricoverata per induzione del travaglio, eseguita dal ginecologo dottoressa B con l’assistenza e dell’ostetrica dottoressa C, mediante somministrazione di doppia infusione di prostaglandine. 

Il caso: responsabilità dell’ostetrica e del ginecologo per morte del feto

La paziente viene sottoposta a monitoraggio dall’ostetrica, cui è affidato il delicato compito del controllo del tracciato cardiotocografico , da valutare con la dottoressa B, unico medico di turno in reparto, che proprio per garantire il monitoraggio era in costante comunicazione telefonica a mezzo cordless con la dottoressa C.
Alle ore 23 la ginecologa B controlla il tracciato, dal quale emergono decelerazioni variabili, che ricollega al cambiamento di posizione della paziente; dopo essersi assicurata del miglioramento del tracciato in seguito al cambio della posizione della donna, la ginecologa dispone stretta osservazione della signora A, ordinando all’ostetrica di richiamarla in caso di nuova comparsa di decelerazioni o di qualsiasi altra variazione del tracciato. La ginecologa viene ricontattata solo alle ore 00:40, direttamente dalla sala travaglio, quando la paziente stava partorendo e si trovava in avanzata fase espulsiva.
La dottoressa B, pertanto, si precipitava in sala parto, quando ivi giunta veniva a conoscenza del fatto che tra le ore 23:30 e le ore 00.00 l’ostetrica C, senza alcuna autorizzazione, somministrava alla paziente, di propria iniziativa, dell’ossitocina. Appresa tale notizia, la ginecologa B, rilevando tachisistolia e ricollegandola alla somministrazione (non autorizzata) di ossitocina, impartisce all’equipe l’ordine di interrompere ulteriore somministrazione, proseguendo l’assistenza al parto. Il bambino nasce alle ore 00.55, in arresto cardiorespiratorio, con indice di Apgar pari a zero. La donna sporge denuncia nei confronti della ginecologa e dell’ostetrica, ritenendo che la morte del nascituro sia ricollegabile alla loro negligenza e imperizia nell’assisterla.

Quadro normativo e linee guida applicabili

La responsabilità penale del medico è disciplinata dal combinato dagli articoli 589, 590 e 590 sexies del codice penale: se, nell'esercizio della professione sanitaria, il medico cagiona la morte o delle lesioni al paziente, rischia una pena che va da un minimo di tre anni (pena minima per le lesioni) a cinque anni di reclusione (pena massima prevista per l'omicidio colposo, salvo particolari circostanze in cui la pena può aumentare fino a dieci anni).

L'art. 590 sexies del codice penale, introdotto dalla legge Gelli Bianco, prevede una particolare causa di giustificazione per il professionista sanitario: difatti, qualora la morte o le lesioni del paziente si siano verificati a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto.

Le linee guida del National Institute in Child Health and Human Development (NICHD) del 2008 e le precedenti Linee guida in materia di sorveglianza fetale e materna del travaglio del 2004 dell’AGNEAS prescrivono al ginecologo, in caso di tracciato valutato come normale e regolare, di affidare la partoriente alle cure del personale ostetrico, su cui perciò grava la responsabilità di assistere la donna e di allertare il medico in caso di mutamenti del tracciato.

Sul punto, già la giurisprudenza precedente alla legge Balduzzi osservava che pur, venendo osservate dal personale sanitario le linee guida di riferimento, può accadere che la terapia si concluda comunque con esito infausto; tuttavia, laddove non emergano aspetti peculiari del caso concreto che avrebbero richiesto una condotta alternativa a quella suggerita dalle linee guida, il comportamento conforme tenuto dal personale sanitario non può essere giudicato colposo.

La Cassazione (sezione 4° penale n. 11493 del 24/1/2013) ha già trattato, in passato, un caso similare a quello che ha avuto per protagonista la signora A, trovandosi a valutare una fattispecie nella quale, in relazione al decesso del feto provocato dal ginecologo per la mancata esecuzione di un intervento di parto cesareo, erano state ritenuto irrilevanti le lineeguida amministrative contenenti i criteri di scelta tra parto naturale e taglio cesareo ma riguardanti il solo profilo della perizia. In quel caso al ginecologo era stato proprio addebitato che, pur in presenza di tracciaticardiotocograficisignificativi di concretorischio per il benessere del feto, non aveva operato un costante monitoraggio della accertata situazione di preallarme, né aveva predisposto ed eseguito un intervento di parto cesareo che avrebbe evitato l'asfissia intra partum ed il conseguente decesso del neonato. In quella fattispecie, la Corte di Cassazione aveva ritenuto corretta la valutazione dei giudici di primo e secondo grado, i quali avevano affermato "che la condizione della paziente, già trentottenne alla prima gravidanza e con indotta stimolazione farmacologica del travaglio, avrebbe dovuto indurre il sanitario ad un monitoraggio continuo delle condizioni del feto onde valutare l'opportunità di un taglio cesareo, ancora possibile in quanto la donna presentava una dilatazione del collo uterino di appena cinque centimetri, così evitando al feto l'ulteriore stress correlato al parto naturale, avvenuto circa un'ora dopo". In conseguenza di tali valutazioni la responsabilità per la morte del neonato era stata attribuita esclusivamente al ginecologo, colpevole – in quel caso – di avere omesso di sottoporre la partoriente ad un monitoraggio costante e di predisporre ed eseguire il parto cesareo che, se eseguito, avrebbe evitato l’asfissia e il decesso del neonato con grande grado di probabilità.

Per quanto riguarda, invece, la responsabilità per colpa medica dell’ostetrica, è principio consolidato quello secondo cui l'ostetrica che abbia sotto la propria assistenza e controllo una partoriente è tenuta a sollecitaretempestivamente l'intervento del medico appena emergano fattori di rischio per la madre e comunque in ogni caso di sofferenzafetale (Cassazione penale sez. 4 n. 35027 del 16/7/2009; Cassazione penale sez. 4, n. 21709 del 29/1/2004, in un caso in cui questa Corte ha affermato la responsabilità dell'ostetrica la quale, quantunque il monitoraggio cardiotocografico della paziente indicasse una progressiva sofferenza fetale, aveva ritardato di avvertire i sanitari con la conseguenza del decesso del feto).

In particolare, costituisce principio consolidato da oltre trent’anni quello che impone all'ostetrica di richiedere l'intervento del medico tutte le volte in cui, nello andamento della gestazione o del parto di persona alla quale presti assistenza, riscontri qualsiasi fatto irregolare relativo al parto (Cassazione penale sez. 4, n. 2893 dell'11/3/1981, rv. 148251).

In capo all'ostetrica sussiste una specifica posizione di garanzia, poiché anche nell'ambito di un travaglio di parto definibile "a rischio" sono da ritenere persistenti i profili di responsabilità connessi agli obblighi gravanti sull'ostetrica, legati alla prestazione di un'assistenza continuativa e adeguata alla paziente nella fase del travaglio pur coordinato dalla figura del medico di guardia, prestazione implicante la pronta rilevazione di ogni situazione di potenziale sofferenza per la madre e per il nascituro, con l'obbligo della relativa segnalazione al medico competente (Cassazione penale sez. 4, n. 31244 del 2/7/2015).

Tale considerazione deriva dal fatto che sussiste, in capo all'ostetrica, una professionalità specifica che ben consente alla stessa di comprendere i segnali di sofferenza patologica del tracciatocardiotocografico.

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Implicazioni per la pratica clinica

Dal dibattimento è emerso che la paziente presentava delle condizioni di rischio, dovute al fatto che:

-La sua età era avanzata (45 anni), 

-Si trattava del suo primo parto,

-Al momento di accesso in reparto presentava sintomi già preoccupanti, quali liquido amniotico scarso e ipertensione.

Questi sintomi avrebbero dovuto indurre il medico ginecologo ad attuare un monitoraggio continuo delle condizioni del feto, al fine di valutare tempestivamente l’opportunità di un parto cesareo anziché lasciare per troppo tempo la gestione del parto alle ostetriche.

Dall’omissione del continuo monitoraggio della paziente, da imputarsi esclusivamente alla ginecologa, è derivata la mancata predisposizione di un eventuale parto cesareo, che avrebbe potuto evitare la morte del bambino.

Per quanto concerne, invece, la posizioneprocessualedell’ostetrica, dagli atti di causa non è emersa la prova della somministrazione non autorizzata dell’ossitocina da parte della dottoressa C.

Tuttavia, l’ostetrica, nei minuti che hanno seguito la visita ginecologica delle ore 23, avrebbe potuto e dovuto attivarsi per allertare il medico di turno, in quanto la lettura del tracciato cardiotocografico rientra nelle sue competenze professionali, posto che tale competenza rientra anche nelle line guida AGENAS del 2004.

Rilevando, perciò, un profilo di colpa sia in capo alla ginecologa che all’ostetrica, entrambe sono state ritenute colpevoli del reato di omicidio colposo del neonato per imperiziamacroscopica, in quanto le due professioniste hanno considerato come normale e tranquillizzante una situazione che di per sé non lo era sin dall’ingresso della paziente in ospedale, proprio per i fattori di rischio che la stessa presentava.

La vicenda della ginecologa dottoressa B e dell’ostetrica dottoressa C si è verificata sotto la vigenza della legge Balduzzi, che escludeva la punibilità dei sanitari nei casi di colpa lieve; nel caso in esame, tuttavia, la colpa delle due professioniste sanitarie è stata ritenuta dai giudici macroscopica, perciò grave, poiché non sono state eseguite tutte le operazioni previste dalle linee guida in caso di tracciato cardiotocografico incerto, bensì solo alcune di esse.

All’esito di tre gradi di giudizio la condanna è stata a otto mesi di reclusione sia per l’ostetrica che per la ginecologa, con penasospesa (poiché inferiore a due anni) e nonmenzione nel casellario giudiziale, e risarcimento del danno subito dalle parti civili da determinare in sede civile, con una condanna a una provvisionale di € 200.000 in solido tra le due professioniste, da versare in capo alla signora A.

Di: Manuela Calautti, avvocato

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