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Medici in fuga dall’Italia: “Già 10.000 lavorano all’estero”. Il nodo del numero chiuso

Diecimila medici in dieci anni hanno lasciato l’Italia. E secondo le stime nel 2025 mancheranno 16.500 specialisti. Il governo lavora ad aumentare i posti: “Bisogna far sì che si iscrivano meno di 20 mila, solo i motivati”. Ma i tempi sono lunghi.

In dieci anni, dal 2005 al 2015, oltre diecimila medici hanno lasciato l’Italia per lavorare all’ estero. Nello stesso periodo si sono trasferiti anche otto mila infermieri. Ai dati della Commissione europea e del Rapporto Eurispes-Enpam, si aggiungono quelli di Consulcesi group secondo cui ogni anno 1.500 laureati in Medicina vanno via per seguire scuole di specializzazione all’estero. Un danno anche economico, perché la formazione – dicono i sindacati di categoria – costa allo Stato italiano 150 mila euro per ogni singolo medico.

Il buco

Chi mette lo stetoscopio in valigia ha un’età che va dai 28 ai 39 anni, la regione da cui emigrano di più i giovani medici italiani è il Veneto. La meta principale è la Gran Bretagna, con il 33% di scelte, seguita dalla Svizzera con il 26%. I professionisti che espatriano sono per la maggior parte ortopedici, pediatri, ginecologi, anestesisti.Tra medici in fuga, che vanno in pensione e aspiranti camici bianchi che non riescono a mettere piede in Facoltà a causa del numero chiuso, il Servizio sanitario nazionale rischia grosso. Lo studio del sindacato della dirigenza medica e sanitaria Anaao Assomed nel Rapporto del 7 gennaio ha lanciato l’ennesimo allarme: tra soli sei anni, nel 2025, curarsi in ospedale sarà ancora più difficile: tra medici di emergenza, pediatri, internisti, ortopedici, psichiatri, mancheranno all’appello 16.500 specialisti.

Il caso Ferrara

Un esperimento che parte in questi giorni è quello dell’università di Ferrara: “La proposta dell’Ateneo emiliano ispirata al modello francese – spiega il senatore della Lega Mario Pittoni, che lavora da anni per la chiusura del numero chiuso e ora è a capo della commissione Istruzione al Senato, – prevede alcuni esami mirati in un arco di tempo definito, così da scoraggiare i “perditempo” (che puntano sulla fortuna) e con la garanzia di maggiore efficacia rispetto agli attuali quiz per individuare attitudine e qualità dei candidati”. Come funziona? La sperimentazione prevederà, oltre ai 185 studenti che hanno diritto all’accesso al corso tramite superamento del test nazionale, altri 600 posti, di studenti che, una volta entrati saranno costretti a svolgere 32 cfu in un semestre, cioè circa quattro esami di medicina con la media superiore al 27, per non dover essere trasferiti nel Corso di Biotecnologie Mediche. La sperimentazione, inoltre, prevede necessariamente la reintroduzione del numero programmato per gli altri corsi di biotecnologie. Resta da chiarire se poi gli aspiranti medici respinti vogliano davvero diventare dottori in biotecnologie. Intanto in Parlamento proseguono le audizioni sui disegni di legge che riguardano l’eventuale abolizione del numero chiuso: la maggior parte degli esperti finora ascoltati non è convitna che la soluzione sia il sistema francese.

I licei “da Vinci”

Un’altra sperimentazione in corso, che va sempre nella stessa direzione, è quella di 80 licei classici e scientifici in tutta Italia, che prevede 150 ore di lezione nel triennio (50 per ogni annualità) in cui i ragazzi possono verificare quanto sono portati a tale tipo di studi: “Abbandona più di uno studente su tre“, sottolinea Pittoni, spiegando come gli aspiranti medici siano spesso spinti a desistere quando si confrontano con le materie mediche dal vivo. L’obiettivo? Diminuire i candidati alla facoltà, investendo quindi risorse adeguate solo per chi davvero intende intraprendere questa professione. Unico neo: finora per l’università investimenti non ne sono stati previsti. E senza risorse diventa difficile uscire dall’imbuto.