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Microplastiche sulle nostre tavole, quali rischi corriamo?

18/04/2023

Nei mari ci sono più di 50 miliardi di particelle di plastica. Parte di queste finiscono sulle nostre tavole e le ingeriamo. Quali rischi ci sono? Quali provvedimenti sono stati presi per limitare il problema?

Microplastiche sulle nostre tavole, quali rischi corriamo?

La plastica è un materiale che ha senza dubbio semplificato e migliorato la vita di tutti grazie alla sua versatilità, praticità, resistenza e costo contenuto. Basti pensare che, mentre nel 1950 la produzione mondiale di plastica si attestava sul milione e mezzo di tonnellate, nel 2018 ha raggiunto una cifra che sfiora le 360 milioni di tonnellate.

 

Purtroppo, però, proprio a causa della sua grandissima diffusione, se non correttamente smaltita può rappresentare un grandissimo problema per l’ecosistema e la salute degli esseri viventi. Questo perché tra le sue peculiarità c’è quella dei tempi di smaltimento che risultano estremamente lunghi. Ciò vuol dire che la plastica immessa nell’ambiente resterà lì per diversi decenni.

 

A ciò si aggiunge un altro problema, assolutamente non secondario e, anzi, forse ancor più preoccupante: quello rappresentato dalle microplastiche. Le quali, a causa delle ridottissime dimensioni e della massiccia presenza nei mari (più di 50mila miliardi di particelle, secondo i dati del 2017 forniti dall’Organizzazione delle nazioni unite) rischiamo ogni giorno di portarcele a tavola e ingerirle senza, ovviamente, rendercene conto.

 

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Cosa sono le microplastiche

 

Come suggerito dal nome, le microplastiche sono particelle molto piccole di plastica (grandezza compresa tra 1 micrometro e 5 millimetri). Hanno una doppia natura: possono essere prodotte e immesse in commercio già in dimensioni molto ridotte per specifici utilizzi (microplastiche primarie) oppure derivare dal deterioramento di prodotti più grandi (microplastiche secondarie). Nel caso delle microplastiche primarie, queste vengono utilizzate in prodotti di larghissimo consumo come detergenti, fibre sintetiche, dentifrici e prodotti per la persona (come, ad esempio, quelli per lo scrub). Il loro vasto utilizzo è dovuto, principalmente, alle loro proprietà abrasive.

 

Le microplastiche nei mari

 

Secondo l’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA), che ha come obiettivo quello di favorire l’uso sicuro delle sostanze chimiche all’interno dell’Unione europea, ogni anno finiscono nell’ambiente circa 42 mila tonnellate di microplastica, mentre le microplastiche secondarie rilasciate nelle acque europee ammontano a 176 mila tonnellate annue. Si calcola, inoltre, che le plastiche trovate negli oceani rappresentino i 4/5 del totale dei rifiuti a livello mondiale.

 

Il problema è che queste particelle entrano anche nell’acqua potabile e vengono ingerite da pesci, frutti di mare e crostacei. Non solo: una recente ricerca della Commissione europea conferma che tracce di microplastiche sono state trovate anche in prodotti marini abiotici (ovvero relativi a caratteristiche ambientali che non hanno relazione con l’eventuale presenza di esseri viventi) come il sale e, addirittura, in prodotti come birra, miele e zucchero.

 

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Secondo l’Istituto superiore di sanità (ISS), i composti chimici riscontrati nelle microplastiche presenti in ambiente acquatico sono: polietilene, polipropilene, polistirene, polietilene tereftalato. I polimeri contengono additivi che servono ad alterarne il colore o a migliorarne alcuni aspetti (come proprietà meccaniche, resistenza al calore, ai raggi ultravioletti e al fuoco). Come se non bastasse, le microplastiche possono assorbire alcuni contaminanti chimici e contenere sostanze come bario, zolfo, alluminio, zinco e titanio.

 

I rischi per gli esseri umani

 

È sempre l’ISS a fare una panoramica sui rischi a cui noi tutti possiamo andare incontro se esposti all’ingerimento o all’inalazione di microplastiche:

 

  • Rischi fisici: a causa della loro ridottissima dimensione, le microplastiche possono attraversare le barriere biologiche (intestinale, ematoencefalica, testicolare, placenta) e provocare danni diretti agli apparati con cui entrano in contatto. In particolare, quello digerente e respiratorio sono i più a rischio in quanto sono i primi con cui le microplastiche entrano in contatto.
  • Rischi chimici: questi derivano dalla presenza di contaminanti nelle microplastiche. Queste possono infatti veicolare sostanze (organiche o meno) potenzialmente pericolose per la salute delle persone. In particolare, possono essere causa di danni al sistema endocrino, a quello riproduttivo e al metabolismo, sia nei figli di genitori esposti alle microplastiche nel corso della gravidanza che in età adulta, a seguito di esposizione nelle prime fasi di vita.
  • Rischi microbiologici: può accadere che sulla superfice delle microplastiche si attacchino microrganismi potenzialmente nocivi per l’uomo (batteri come Escherichia coli, Bacillus cereus e Stenotrophomonas maltophilia).

 

I provvedimenti dell’Unione europea

 

Al fine di mettere un freno alla dispersione di microplastiche e limitare dunque il loro impatto sull’ambiente e la salute delle persone, nel corso degli ultimi anni diversi Paesi di tutto il mondo hanno emanato o proposto divieti relativi al loro utilizzo in prodotti di consumo. In Italia, ad esempio, a partire dal 2020 sono vietate sia la vendita che la commercializzazione di cosmetici da risciacquo (gel, saponi, creme, dentifrici) che contengono microplastiche, ma provvedimenti del genere sono stati adottati anche in altre nazioni, come Stati Uniti, Canada, Nuova Zelanda e Corea del Sud.

 

Nel 2017 la Commissione europea ha invitato l’Agenzia europea per le sostanze chimiche a valutare le prove scientifiche per l’adozione di un’azione normativa a livello europeo in riferimento alle microplastiche aggiunte intenzionalmente ai prodotti.

 

Nel gennaio 2019 l’ECHA ha avanzato la proposta di un’ampia restrizione delle microplastiche nei prodotti immessi sul mercato dell’Unione europea e dello Spazio economico europeo (SEE). Si prevede che questa proposta impedirà il rilascio nell’ambiente di mezzo milione di tonnellate di microplastica nel giro di 20 anni.

 

Nel giugno del 2020 il Comitato per la valutazione dei rischi dell’Agenzia ha adottato il proprio parere, sostenendo la proposta ma chiedendo criteri più severi di deroga per i polimeri biodegradabili e il divieto per le microplastiche che vengono usate come materiale di riempimento sui campi fatti in erba sintetica.

 

Cosa fa l’Europa

 

Oltre ciò, nel nuovo piano d’azione per l’economia circolare, la Commissione europea ha annunciato nuove iniziative per contrastare il rilascio di microplastiche nell’ambiente. Queste prevedono lo sviluppo di misure di standardizzazione, certificazione e regolamentazione sul rilascio involontario di microplastiche, incluse misure per aumentare l’eliminazione delle microplastiche in tutto il ciclo di vita dei prodotti che le contengono. Prevedono inoltre lo sviluppo e l’armonizzazione dei metodi per misurare le microplastiche rilasciate in maniera involontaria (in modo da raccogliere dati coerenti sulle concentrazioni nell’acqua di mare) e mirano a colmare le lacune nelle conoscenze scientifiche relative ai rischi e all’effettiva presenza di microplastiche nell’ambiente, nell’acqua potabile e negli alimenti.

 

La strategia dell’Ue per contenere la diffusione delle microplastiche va dunque inserita in un discorso più ampio che riguarda l’intera filiera dei rifiuti. Nel settembre del 2018, ad esempio, il Parlamento europeo ha approvato una strategia contro le plastiche, mirata ad aumentare le percentuali di rifiuti in plastica riciclati. Ha inoltre vietato l’utilizzo di determinati prodotti di plastica usa e getta. Risale invece al 2015 la stretta nei confronti dei sacchetti di plastica.

 

Arnaldo Iodice, giornalista