Riparto dell’onere della prova tra medico e paziente
12/04/2019
Negli ultimi tempi, la Corte di Cassazione si è occupata della questione relativa ai criteri di riparto dell’onere della prova del nesso causale tra l’insorgenza della patologia o il suo aggravamento e la condotta tenuta dal medico.
Si è così consolidato quell’orientamento, introdotto da alcune pronunce rese dalla Terza Sezione (n. 18392/2017, n. 29315/2017), secondo il quale, in tema di responsabilità sanitaria, l’accertamento del nesso causale e, soprattutto, i rispettivi oneri rispondono ad esigenze diverse, di cui risultano portatori gli opposti protagonisti del rapporto di cura (cd. “doppio ciclo causale”).
Ciò significa che, trattandosi di fatto costitutivo del proprio diritto, il paziente deve dimostrare, secondo il criterio funzionale del “più probabile che non”, l’esistenza del nesso causale fra l’azione od omissione del sanitario incriminato e l’evento dannoso patito.
Solo quando tale prova risulta concretamente raggiunta, viene quindi in rilievo il contrapposto e successivo onere probatorio, questa volta a carico del sanitario (o della struttura) trattandosi di fatto estintivo del diritto, di dimostrare che la prestazione è stata eseguita in modo diligente e che l’esito infausto è stato provocato da un evento imprevisto ed imprevedibile, ovvero che la stessa prestazione era comunque impossibile per causa non imputabile, provando che l’inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l’ordinaria diligenza.
In poche parole, l’accertamento del nesso causale avrà una duplice natura vertendo, sotto il profilo del paziente, sulla prova del collegamento eziologico tra condotta ed evento e, sotto quello del medico, della dimostrazione che una causa imprevista ed imprevedibile ha reso impossibile la prestazione che, altrimenti, sarebbe stata possibile e quindi dovuta.
Le conseguenze di un tale approdo giurisprudenziale non sono certo di poco conto, soprattutto quando la causa del danno dovesse rimanere incerta all’esito dell’istruttoria processuale.
Infatti – come afferma la più recente giurisprudenza di legittimità (Cass. Civ. 5487/2019, Cass. Civ. 3704/2018, Cass. Civ. n. 20812/2018) – la causa incognita resterà a carico del paziente relativamente all’evento dannoso, mentre rimarrà a carico del convenuto relativamente alla possibilità di adempiere.
Sostenere allora che l’incertezza sulla sussistenza del nesso causale tra l’evento dannoso e la condotta pregiudizievole ricade, sempre e comunque, sul medico (o sulla struttura) diviene allora un’argomentazione piuttosto fragile dovendosi, per contro, verificare su quale dei due profili causalistici venga ad incidere tale incertezza, con conseguente rigetto della domanda ogni qual volta rimanga oscura, all’esito dell’istruttoria processuale, la causa del danno invocato dal paziente.
Tale orientamento rende ancora più evidente quanto il ruolo del consulente tecnico medico legale sia centrale all’interno del contenzioso, poiché definire il nesso causale fra l’azione e l’omissione e verificare che l’attività del medico sia stata svolta in maniera diligente e corretta può essere risolutivo per le sorti del sanitario.
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